Protagonisti della Campagna del Vecchio Continente

Manipolatori o manipolati? Gli eroi del Vecchio Continente

Indice

Joshua Elvandar

Pierre Seoman di Torre Incantata

Dervin di Lloidevall

Giulia di Lloidevall

Guastaldo di Guttaperca

Olaf dei Monti del Sogno

Slash di Lloidevall

Adamo di Eliendall

Rufus

Cromos dei Monti del Sogno

Elias Welfer O' Kobor di Torre Incantata (17 anni dopo)

Ariel di Eliendall

Anvayr del Nord

Ostagh dell'Est

Ulna Pop detto Zapp

Sommo Prete Mastro Cereo di Shoven Rook

Cavalier Brittelm de Gart di Talantir

Eric Barbabianca

Signor Marzius Aldebaran

Guardia di Giustizia Venlen

Scaurus

Artiglio Bianco

Ludovico Cesare Cornelio di Guttaperca

Stephanie da Lloidevall

Demius del Grifone

Heam del Frassino

Alarr del Nord e Jacqline

Simmon il Mago


Protagonisti

Joshua Elvandar

E' un guerriero forte e coraggioso, devoto della Via della Spada. Tiene un diario nel quale racconta le sue peripezie ad Eliendall.


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Seoman di Torre Incantata

E' un apprendista dell'Accademia di Torre Incantata, ambizioso e deciso. Tiene un diario delle sue vicende ad Eliendall.

Seoman detto Simon dai (pochi) amici nacque ventisei anni fa in una notte di tempesta a Lockiendill. Seoman ignora totalmente le sue vicissitudini fino ai sette/otto anni e ignora anche quali siano i suoi genitori naturali. Quella notte infatti il suo padre naturale, Isorn de Verine, lo seppelli' credendolo morto durante il parto, il suo cuore aveva (quasi) smesso di battere. Era terrorizzato all'idea che si sapesse che aveva avuto un figlio illegittimo : lui uomo piuttosto in vista in citta' in quanto appartenente a una famiglia di ricchi mercanti era infatti sulla bocca di tutti per una chiacchierata relazione con una parente stretta di Lord Selendill, Vaariae sua cugina. Lord Selendill non vedeva di buon occhio la relazione e Isorn nella sua freddo calcolo di arrampicatore sociale antepose la sua carriera all'affetto per il neonato. Cosi' senza che nessuno notasse nulla e convincendo Vaariae, che il piccolo Seoman fosse morto, lo seppelli' in un piccolo fagotto nel giardino della villa lontano da occhi indiscreti. Ma quella notte un individuo solitario e disperato si era introdotto nella villa per vendicarsi di Isorn, ritenendolo responsabile di aver rovinato la sua famiglia di commercianti con affari spregiudicati. Si chiamava Dorian e colpi' Isorn alle spalle mentre era intento a scavare la piccola fossa. Credendolo morto, controllò il piccolo sacco sperando di trovarvi delle monete e vi trovò il corpo quasi esanime di Seoman avvolto in un fagotto di seta recante il suo nome e lo stemma di Isorn. Mosso a pieta' lo raccolse e decise di condurlo con se' per allevarlo secondo buoni principi. In questo modo sperava anche di espiare un poco l'omicidio commesso e infatti Dorian era un seguace della via della Mano Aperta. Isorn non era morto e si salvo' per miracolo. Fece ricerche per sapere che fine aveva fatto il figlio ma inutilmente mentre Vaariae continuava a pensare di aver perso il figlio alla nascita.

Dorian condusse con se' Seoman e lo educo' coi modesti mezzi di cui disponeva assieme alla moglie. Ma le ristrettezze erano tali che Seoman dovette presto cominciare a lavorare come mercenario al servizio di una gilda. Divenne abile con la spada ma l'ambiente non gli piaceva e specialmente odiava gli orchetti che spadroneggiavano nell'attivita'. Veniva maltrattato e tiranneggiato Non si sentiva per nulla soddisfatto. Dorian se ne accorse e preoccupato ne parlava spesso e segretamente con sua moglie. Durante una di queste discussioni Seoman casualmente origlio' di come loro non fossero i suoi genitori naturali e ne rimase sconvolto. Attraverso gli accenni che faceva Dorian dedusse di avere natali di una certa importanza e monto' in superbia. Decise quindi che non era piu' tempo per lui di rimanere in quella situazione cosi' statica e povera. Raccolse tutti i suoi averi e i soldi guadagnati con il lavoro e scappo' di casa portando con se' il fagotto di seta che credeva solo un ricordo di infanzia ma ora aveva scoperto essere il suo unico legame col suo passato. Cambio' citta' ed ando' ad Eliendall dove cerco' una raccomandazione per entrare nella famosa Accademia di magia. Non aveva abbastanza oro pero' e fu presto costretto a lavorare per la famigerata Gilda dell'Oro Nero. Si fece alcune amicizie nell'ambiente, per quanto queste possano chiamarsi amicizie. Conobbe Leya, una ladruncola piuttosto scaltra con cui si atteggiava spesso a potente guerriero. Voleva fare colpo su di lei e la sfido' ad introdursi con lui nella gilda degli alchimisti per rubare qualche preziosa pozione. Scalarono i muri della gilda di notte e si introdussero da una finestra. Tutto andava liscio come l'olio ed erano entrati in un piccolo magazzino per pozioni. Leya era contentissima ma per l'agitazione ne fece cascare una maldestramente. Ne segui' una densa fumata che stordi' entrambi. Leya pero' riusci a gettarsi in salvo dalla finestra mentre Seoman riusci' solo a trascinarsi verso la porta. Giunse in quel momento l'inserviente di guardia della Gilda che scopri' Seoman stordito e quasi accasciato e lo condusse dal suo maestro: tale Maestro Mikon. Questi riconobbe in lui il talento magico e decise di non sprecare un giovane cosi' promettente in furtarelli per gli edifici: cosi' gli propose di sponsorizzare la sua entrata all'Accademia di Magia in cambio di un futuro servizio. Seoman contento sia per averla passata liscia sia per l'occasione giuntagli era felice e riconoscente.

Passarono gli anni. La magia era diventata la sua passione perche' era anche l'arte che piu' lo poteva innalzare sopra gli odiati orchetti e sperava potesse aiutarlo nella ricerca dei suoi genitori. Seoman era molto dotato e presto supero' i suoi compagni di corso per abilita' e conoscenza, ma era anche molto presuntuoso e imprudente. Chiedeva sempre qualcosa in più alla magia, effetti spesso nefasti e proibiti, che i suoi maestri erano costretti a negarli con ripetuti rimproveri a non spingere la sua ricerca magia oltre i limiti della necromanzia. Venne notato pero' dal mago Orbailister che invece accondiscese ai suoi desideri di occulto e pian piano gli insegno' i rudimenti della necromanzia. Seoman imparo' anche un incantesimo di tale scuola e felicissimo sfogliava tomi proibiti. Orbailister era pronto per introdurre Seoman in un gruppo occulto di Eliendall con attivita' segrete e non meglio specificate, ma qualcosa nel cuore di Seoman si era mosso. I rimorsi per la sua ricerca di conoscenza e verita' non si erano mai sopiti ma lui li aveva sempre zittiti con arroganza. Ora sentiva di essersi spinto troppo in la' con l'occultismo. Come prova per entrare a far parte della misteriosa setta lui insieme ad altri sicari doveva eliminare un uomo in vista di un'altra citta' in visita ad Eliendall. Quando Seoman chiese ulteriori informazioni gli risposero che non erano affari di un adepto di cosi' basso rango.

Nel luogo convenuto in una strada buia del quartiere dei nobili, lui e altri due loschi figuri, desiderosi di entrare nella setta occulta, tesero l'imboscata all'uomo e alla sua piccola scorta. Seoman con le sue abilita' magiche e di spadaccino risolse presto il combattimento e l'uomo si arrese sperando si trattasse solo di normali ladruncoli. Quest'uomo di cui Seoman ignorava l'identita' era Isorn suo padre che veniva a Eliendall per incontri diplomatici e commerciali. Colpi' Isorn all'addome ma qualcosa lo trattenne dall'affondare il colpo e si penti' della strada che aveva intrapreso fin li'. I due sgherri vedendolo tirarsi indietro pugnalarono in fretta Isorn prima che arrivassero guardie cittadini. Lo lasciarono in un bagno di sangue senza controllare il suo effettivo decesso e fuggirono decisi a fare un rapporto poco favorevole a Seoman e contenti di poter gia' fare il loro primo rapporto su un traditore nella setta. Seoman torno' confuso e abbattuto all'Accademia. Orbailister non apprezzo' affatto questo volta faccia e prese di mira Seoman all'Accademia : erano arrivati tempi duri per lui. Nel frattempo alcuni maestri si erano accorti che qualcosa non andava e guardavano con sempre maggior sospetto Seoman e le sue mosse. Un ambiente troppo pesante per lui per continuare e decise di sparire per un poco.


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Dervin di Lloidevall

E' originario delle Foreste Lloidevall, dove ha imparato a tirar di spada ed a padroneggiare alcune semplici magie. Tiene un diario nel quale racconta le sue avventure.

Questa e' la mia storia, il racconto di cio' che ho fatto fino ad ora nella mia breve ma intensa vita. Sono qui, su questa nave, insieme a Giulia, la mia amica piu' cara e fidata, e sto per giungere ad Eliendall, grande città dell'Ovest che si affaccia sul grande mare blu. Essermene andato in questo modo da Lloidevall, la foresta che mi ha cresciuto, senza salutare mia madre a quattrocchi non mi e' certo piaciuto (spero che la lettera che le ho mandato non la faccia stare in pena), ma non ne potevo piu' dell'Accademia, davvero sentivo di essere sul punto di esplodere! Non mi pento di esservi entrato, ero giovane allora (credo di esserlo ancora) e credo che in futuro cio' che ho imparato potrebbe essermi utile. Ma forse e' meglio iniziare dal principio... Nacqui una ventina di inverni fa in una casa di boscaioli, nel villaggio di Holailvall. Non posso dire che la mia famiglia fosse povera: avevamo una bella dimora, interamente fatta di legno (mi hanno detto che nelle grandi citta' alcune case sono costruite in muratura, devono essere tutti ricchissimi...) e mio padre era uno dei cacciatori piu' esperti della foresta. Purtroppo venne presto a mancare e fece appena in tempo ad instillare in me un forte amore verso la natura e, in particolar modo, nei confronti della foresta. Mia madre inizio' a lavorare sodo per mantenerci e anch'io mi diedi da fare: diventai quello che all'Accademia ho sentito chiamare "ranger", un uomo conoscitore dei boschi e delle loro caratteristiche, capace di sostentarsi con cio' che la mia cara foresta poteva offrirmi. Comunque io preferisco definirmi un cacciatore, come mio padre prima di me. Certo non fu facile imparare da solo tante cose, ma amo profondamente quel rifugio emeraldino che per me sara' sempre Lloideval. La cosa piu' preziosa che mi ha dato la vita a Holailvall e' pero' l'amicizia di Giulia, proprio l'attraente ragazza che e' qui vicino a me in questo momento. Abitava anch'essa nel nostro villaggio, ma la vita e' stata molto piu' crudele con lei. Non vidi mai suo padre (non so se lei l'abbia mai conosciuto) e sua madre riusciva a stento a nutrire se' stessa e la figlia. Dietro mia richiesta (che a Giulia non ho mai confessato), mia madre portava spesso alla loro famiglia un po' di cibo, onde alleviare le loro sofferenze. Certo, vivere in una foresta senza un uomo che badi alla caccia e al resto non e' facile e anche se io ero ancora un ragazzino costituivo un aiuto prezioso per la mia dolce mamma. Quando Giulia era ancora giovanissima resto' sola al mondo e da quel momento divento' come una sorella vera e propria per me. Io e Giulia fummo grandi amici fino a quando ebbi 13 anni... Successe una cosa che cambio' il nostro rapporto, non so dire se in meglio o in peggio, certo e' che quel giorno capimmo di essere davvero pronti a tutto l'uno per l'altra... Era ormai sera e stavo passeggiando nella foresta, arco in spalla, in cerca di un buon leprotto da portare a casa per cena, quando udii un rumore sordo pochi metri avanti a me. Mi precipitai in quella direzione e vidi un uomo, di grossa corporatura, con una pesante mazza appesa alla cinta, che stava prendendo a calci quello che sembrava essere un ragazzino, di corporatura esile, che giaceva a terra rannicchiato su se' stesso per meglio attutire i colpi che stava ricevendo. Non ricordo cosa pensai, so solo che, colto da un'incontrollabile frenesia, mi buttai con tutto il mio peso (non molto, per la verita') sull'aggressore il quale, perso l'equilibrio, fini' gambe all'aria sull'erba. La capriola fece si' che la mazza si slacciasse dalla sua vita e che mi finisse vicino ai piedi. Raccolsi la pesantissima arma (pur reggendola con due mani ero certo che non avrei mai avuto la forza di vibrarvi un colpo) e, tenendola puntata davanti a lui, gli dissi di andarsene prima che perdessi la pazienza. L'uomo si alzo', si puli' sommariamente le vesti battendosele con le mani e si mise sulla difensiva pronto a reagire ad un mio ulteriore attacco; ma quando vide che colui che aveva di fronte non era che un ragazzino capriccioso, si lascio' sfuggire un ghigno malvagio e tese la mano destra verso di me, a palmo aperto verso l'alto, chiedendomi di ridargli la mazza. Gli intimai di andarsene e questo, unito probabilmente al fatto che lo strano ometto aggredito era intanto sgattaiolato via, mi costo' caro: con un abile finta si lancio' verso di me, per poi girare rapidamente su se' stesso e, mentre io facevo ondeggiare la gigantesca arma sopra il punto dove fino a un secondo prima c'era lui, mi sferro' un potente pugno al fianco sinistro, che fu sufficiente a farmi stramazzare a terra con un gemito. Il dolore al fianco era troppo forte per permettermi di rialzarmi in fretta e, mentre tentavo di fare appello alle mie forze residue, il vile mi insegno' cosa vuol dire colpire con una mazza... per uccidere. Lanciando un urlo spaventoso (il problema era che mi trovavo a troppe miglia di distanza dal villaggio perche' potessero udirmi), sentii come un fuoco ardermi nel petto, all'interno di cio' che fino a poco prima era la mia cassa toracica. Incredibilmente non persi subito i sensi e i miei deboli gemiti accompagnarono lo straniero al di fuori del mio campo visivo... Poi l'oscurita'... Mi svegliai in un bagno di sudore, sdraiato sull'erba. La notte sembrava essere scesa e in principio pensai che si fosse trattato di un orribile incubo. Ma il lieve dolore che sentivo al petto mi riporto' alla realta': la cosa strana era che dove avevo subito un colpo mortale non c'era altro che un ematoma simile a quello conseguente ad una normale botta, certo non sembrava che fossi stato colpito da una mazzata! Solo in quel momento percepii un respiro accanto a me e, tra la sorpresa e l'emozione, mi accorsi di avere accanto a me... Giulia! Ma come era arrivata li'? E perche' sembrava distrutta dalla fatica? L'uomo l'aveva forse... No, non era cosi', ma allora... Non era comunque il caso di riflettere oltre rimanendo sdraiati nel mezzo della foresta addormentata, cosi' la presi in braccio (riuscii ad alzarmi a fatica, ma ero in grado di camminare normalmente) e mi diressi verso Holaivall. Un po' di tempo dopo quella strana vicenda (non so ancora bene cosa Giulia abbia fatto per me, ma le ho letto negli occhi che e' a lei che devo la vita) arrivo' a Holailvall un appariscente gruppo di viaggiatori proveniente da Torre Arcana. Avevo gia' sentito parlare di quel posto: sapevo che li' studiavano i giovani piu' promettenti nella padronanza delle arti magiche, ma la mia riluttanza ad approfondire un argomento così oscuro mi aveva sempre tenuto alla larga dal saperne di piu'. Fino appunto a quel giorno. Mentre io e mia madre eravamo a tavola per cena, busso' alla nostra porta un uomo piuttosto vecchio, con una lunga barba albina, che si presento' come Oshin di Torre Arcana. Disse che era stato mandato per verificare se davvero IO ero dotato di qualche potere occulto, come gli avevano riferito. Sentendolo parlare cosi' guardai mia madre, il cui sguardo mostrava una forte curiosita'. Per non deluderla non opposi resistenza a quella che ero certo fosse una farsa, quindi lasciai che il vecchio circondasse la mia testa con le sue mani dalle lunghe dita e che mi esaminasse. Dopo una trentina di secondi la presa si allento' e gli occhi del mago incrociarono i miei: credetti di sbagliarmi nel leggere uno sguardo di soddisfazione in quelle pupille affascinanti, ma non era cosi'. Alzandosi, decreto' la mia appartenenza alla "casta degli eletti" e mi disse di prepararmi per seguire lui e i suoi compagni di viaggio fino a Torre Arcana dove, a sentir parlare lui, sarei stato educato ad interpretare i miei poteri. Ma quali poteri, volevo dirgli! Fattosta' che mia madre mi prese per un braccio e mi porto' in una stanza sul retro: con le lacrime agli occhi (disse che erano di felicita', ma sono certo che fosse distrutta all'idea di perdermi) mi imploro' di accettare l'offerta dei maghi, aggiungendo che avrei potuto vivere meglio e studiare, come mai avrei potuto ad Holailvall. Passammo una mezzoretta a discutere, dopodiche' capii che per lei sarebbe stata un'enorme soddisfazione sapermi colto e benestante, quindi non seppi dirle di no. Dopotutto Torre Arcana si trovava anch'essa nell'amata Lloidevall, quindi avrei ancora potuto vedere mia madre e trascorrere qualche ora in mezzo alle verdi fronde. Salutai Giulia in fretta, Oshin era stufo di aspettare, e riuscii a stento a trattenere le lacrime di fronte all'idea di non rivederla piu' per chissa' quanto tempo! Comunque dissi a mia madre di prendersi cura di lei, anche se poi non ce n'era veramente bisogno, in quanto la mia Giulia si era data da fare negli ultimi tempi, eccellendo nel canto e nella danza popolare, oltre che in varie altre occupazioni. Insomma, non le mancava il senso pratico ed ero certo che si sarebbe fatta strada nella vita, in qualche modo. Inizio' cosi' la mia vita di apprendista mago e il mio mentore fu proprio Oshin. Il tempo necessario per studiare era davvero tanto e non ebbi mai occasione di trattenermi da mia madre piu' di qualche ora, quando le facevo visita. Per non parlare delle gite nella foresta! Se non avessi accettato i rischi che sgattaiolare fuori da Torre Arcana in orario di lezione comportava, non avrei piu' avuto modo di restare legato ai miei boschi come lo ero prima. Ma dei rischi non mi importava: ero ben lieto di subire qualche lieve punizione se questo ero l'unico modo per avere un po' di tempo per me; dopotutto non facevo del male a nessuno e questa era la cosa piu' importante. Dopo qualche mese Oshin capii che non c'era modo di insegnarmi la disciplina se questa aveva come conseguenza rinunciare a cio' a cui tenevo, quindi il buon mago "allento' le maglie" un po' piu' spesso, dietro mie promesse di impegnarmi di piu' nello studio. La scelta del mio mentore fu felice e dopo un anno e mezzo iniziai ad ottenere i primi risultati: riuscivo (ogni tanto) a far apparire una fievole fiammella nella mia mano, a calmare un cavallo che per qualche motivo si era imbizzarrito (ci riuscivo anche senza la magia, ma il mio insegnante insisteva tanto...); ma persino Oshin rimase impressionato dalle mie abilita' quando vide che, cantilenando a squarciagola e muovendo le mani come impazzito, riuscivo a dar forma ai miei pensieri creando dal nulla illusioni visive abbastanza realistiche! Cominciai a prenderci gusto e decisi che mi sarei impegnato ulteriormente per sviluppare queste mie capacita' soprannaturali... ma rimasi deluso. Sembrava che avessi raggiunto il punto massimo di abilita' nei miei poteri. Oshin mi spiego' che si trattava di limitazioni fisiche, dovute al fatto che avevo solo pochissimo sangue di origine elfica nelle mie vene. Dovevo gia' essere felice di quello che ero riuscito a fare, a sentir lui! Peccato che un mago dai vasti poteri e dall'infinita (si fa per dire) conoscenza non fosse la persona piu' adatta per consolarmi... Ma mi disse anche che questi miei poteri avrebbero potuto progredire un pochino se avessi continuato ad esercitarmi, in modo almeno da riuscire ad attivarli a richiesta. Comunque il mio entusiasmo verso le arti arcane stava scemando e compresi che non sarebbe passato molto tempo prima che Lloidevall e Giulia tornassero ad occupare il primo posto nei miei pensieri. Questo fu ritardato dall'arrivo inaspettato di Giulia a Torre Arcana. Perche' si trovava li'? Qualcuno aveva saputo che lei... Giulia stessa mi rassicuro' sul fatto che nessuno sapeva niente del suo "dono", si trovava li' semplicemente come cuoca e come assistente, non era una studentessa. Pur di avere Giulia al mio fianco, come sempre avevo voluto, decisi si restare all'Accademia, provando ancora a sviluppare ulteriormente il mio potenziale. Peccato che il destino volle che Giulia dovesse usare il suo potere di guarigione nei confronti di qualcuno che non ho mai saputo chi fosse, attirando su di se' l'attenzione dei maghi di Torre Arcana. Divento' cosi' una studentessa a tutti gli effetti, anche se non mi sembrava entusiasta della cosa. La notizia del suo "dono" si diffuse a macchia d'olio e presto frotte di persone incominciarono a far la fila dinnanzi a lei, onde ottenere il miracolo della guarigione dai loro mali. All'inizio tutto ando' avanti in modo regolare, anche se era chiaro che "miracolare" il prossimo costava a Giulia una gran fatica; un giorno pero' accadde che il suo potere non si manifesto'. Giulia provo' e riprovo' ad invocarlo, ma sembrava che il "dono" l'avesse ormai abbandonata. Intuendo che il forcing delle guarigioni a catena le era costato molto in termini fisici (e pensando che forse la sparizione del suo potere era dovuto a quello), mi diedi da fare insieme alle amiche di Giulia per spargere la notizia il piu' rapidamente possibile e l'effetto fu tangibile. Peccato che Giulia non la prese troppo bene, credo: pochi giorni dopo parti' senza nemmeno salutarmi. Caddi in uno stato di profonda depressione e la mia abilita' nelle arti magiche ne risenti' parecchio. Passarono due anni, alla fine dei quali trovai la forza di riprendermi e di plasmare nuovamente il potere che avevo in me. Ma mi ripresi perche' sapevo che stavo per andarmene, il mondo mi avrebbe riveduto libero come sempre avevo voluto essere. Non sopportando l'idea di lasciare Oshin senza spiegargli il perche', mi recai a fargli visita e, inaspettatamente, dimostro' di capirmi come non avevo nemmeno sperato. Mi disse che si aspettava di rivedermi, un giorno o l'altro, e che non gli importava di quello che riuscissi a fare con la magia: in me aveva trovato un amico. Toccato da quelle parole lo abbracciai, gli promisi che sarei tornato sicuramente e, prima di scoppiare in lacrime, me ne andai. Per non dover affrontare la possibile delusione di mia madre le ho scritto una lettera, in cui le dicevo che mi sarei recato a farle visita qualche mese dopo la mia partenza: il mio intento era quello di farle sbollire l'eventuale rabbia, quando mi avrebbe rivisto dopo un po' di tempo le sarebbe certo passata... Ho trovato un impiego come guardia del corpo di un goblin, che mi ha chiesto di imbarcarmi con lui verso Eliendall, ed eccomi qua! Che gioia ritrovare Giulia sulla mia stessa nave! Ora non me ne importa niente, staro' con lei anche una volta arrivati nella grande citta', intanto sarei curioso di sapere chi e' quello strano tizio con noi sulla nave con al collo quell'amuleto cosi' appariscente...


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Giulia di Lloidevall

Anche lei originaria delle foreste Lloidevall, amante della natura e dotata di un raro talento di guarigione. Tiene un diario nel quale racconta le sue avventure.

La foresta di Lloidevall, quanto tempo è passato da quando ho visto per l'ultima volta la parte della mia foresta che vedevo da bambina. La foresta è fantastica: tranquilla e sicura ma allo stesso tempo entusiasmante. Non ho mai capito bene perché quella foresta mi desse tanta emozione, ma ogni albero, ogni cespuglio, ogni ruscello di quel posto è come incarnasse tutte le forze della natura, e lo sento legato a me come un mio fratello. Mio fratello, ricordo bene quando conobbi Dervin l'anno prima della morte di mia madre. Era un'estate particolarmente calda e io per badare a noi due facevo un po' di tutto: coltivavo i campi, cacciavo e ogni tanto davo una mano a qualche tagliaboschi. Il cibo era scarso e avevo frequentemente febbri ma non potevo certo toglierlo di bocca a mia madre. Dervin abitava anche lui nel villaggio di Holailvall, poche case nel cuore della foresta, ma non avevo mai parlato con lui, impegnato in attività tanto diverse dai miei lavori, finché non mi portò del cibo che sua madre aveva preparato per noi. Fu un vero toccasana e penso che quello fu l'ultimo bell'avvenimento nella vita di mia madre. A undici anni fui sola. La vita divenne ancora più dura: vivevo di elemosine che ricevevo quale suonatrice e cantante per i viandanti di passaggio, del poco cibo che recuperavo portanto l'acqua ai tagliaboschi e della carità della madre di Dervin.

Ma dovevo sopravvivere, e qualcosa voleva che ce la facessi. L'inverno dopo la morte di mia madre tornando nella mia baracca di sera, molto dopo il tramonto, sentii come la presenza di qualcosa, di qualcuno che mi chiamava. Aguzzai la vista e Dervin era riverso sotto un cespuglio privo di sensi e coperto di sangue. Provai subito a sollevarlo per portarlo al villaggio ma non ce la facevo. Eravamo troppo lontanti e faceva troppo buio. Provai a trascinarlo ma questo aggravava solo le sue condizioni e io ero già molto stanca. Disperata mi misi a piangere battendo i pugni sul suo povero corpo quando sentii che le forze mi mancavano sempre più ad un ritmo impressionante come se qualcuno me le stesse rubando. Feci solo in tempo a vedere Dervin che si riprendeva prima di svenire accanto a lui. Mi risvegliai la mattina seguente nella mia baracca da sola e, se non fosse stato per le mie mani insanguinate, avrei giurato di essermi sognata tutto. Dervin lo incontrai di sfuggita e capii subito che non aveva intenzione di parlare di quell'episodio e lo assecondai non facendone mai menzione con nessuno. Da allora il mio atteggiamento nei confronti di Dervin cambiò radicalmente: da amici divenemmo complici, potevamo anche incontrarci senza salutarci ma sapevamo di poter contare uno sull'altro.

Cambiò anche in piccola parte la mia vita. Quell'episodio nel buio della foresta mi aveva insegnato l'importanza della comprensione degli altri e da allora cercai di capire cosa le persone vogliono prima di interagire con loro. Questo mi fece diventare benvoluta da tutto il villaggio e soprattutto le mie attività artistiche per i viandanti migliorarono notevolmente: imparai molte ballate e sonate e guadagnai abbastanza per sopravvivere decentemente. Ma anche questa vita non durò molto: a quanto pare qualcuno o qualcosa aveva altri progetti per me. Dervin era già partito da qualche tempo per l'accademia di magia, quella che fuori dalla foresta si chiama Torre Arcana, seguendo un gruppo di viaggiatori il cui capo, uno strano personaggio, aveva convinto sua madre delle doti naturalmente magiche di Dervin. Io lo seguii qualche mese dopo, quando un altro gruppo di viandanti mi propose una vita migliore presso l'accademia.

A Torre Arcana lavoravo come cuoca e cameriera e in cambio ricevevo vitto e alloggio regolari e avevo a disposizione del tempo libero per fare le mie lunghe passeggiate nella foresta. Fu proprio durante una di queste passeggiate che mi attardai più del solito e, complice l'autunno che stava sopraggiungendo, fece buio prima di rientrare nell'accademia. Trovare la via del ritorno non era un'impresa facile e immaginai di essere finita in una parte della foresta che non avevo mai visto quando vidi delle luci come di lanterne in fila in lontananza. Mi avvicinai il più possibile e vidi una processione di persone incappucciate, più basse del normale, quasi fossero dei bambini. Queste persone raggiunsero uno spiazzo, che in seguito non riusci più a ritrovare, e si misero in cerchio. Urlavano, o meglio, cantavano melodie a me completamente estranee quando tutto d'un tratto si fermarono e iniziarono convulsamente a spegnere le lanterne e ad estrarre dei lunghi pugnali da sotto la tonaca. Veloci come il vento uscirono delle ombre dagli alberi vicini e, potrei giurarlo, anche da quelli attorno al mio cespuglio tanto che mi sdraiai supina nella vana speranza di essere ignorata. E qualcosa mi protesse perché mi passarono sopra, quasi attraverso! Non saprò mai se fu a causa della fioca luce della luna che si rifletteva sul mio viso truccato come fosse una strana foglia oppure la foresta di Lloidevall che voleva che mi salvassi. Nel buio sentii urla strazianti e rumore di parecchi di loro che fuggivano nella foresta. Me ne stetti bassa finché non calò il silenzio e alla luce della luna mi avvicinai allo spiazzo per vedere cose fosse successo esattamente. Trovai solo cadaveri, brandelli di vesti o di carne, nessuna lanterna e qualche pugnale lungo. Mentre raccattavo i pugnali vidi qualcosa scintillare tra gli alberi e mi accorsi di uno di quegli ometti che giaceva vivo ma in pessime condizioni. Dopo averlo bendato per fermare le ferite principali feci sì che il potere della foresta lo curasse. Si riprese in fretta, deve aver avuto una tempra eccezionale, e mi promise che ci saremmo rivisti nei pressi dell'accademia da lì ad una settimana.

Mantenne la promessa e lo reincontrai questa volta in un luogo a me maggiormente noto a breve distanza dall'accademia. Mai mi permise di vederlo in volto e mai mi raccontò cosa fosse successo quella notte, ma capii che la sua gratitudine per me era molta. Mi raccontò un mucchio di leggende, di fate, elfi, orchi, magia, e persino draghi. A me piaceva starlo ad ascoltare e capivo che per lui era molto importante potersi sdebitare in questo modo. Una sera però lo vidi alquanto diverso dal solito e, difatti, dopo pochissime parole estrasse qualcosa di scintillante da sotto la tunica e si avventò verso di me. Il mio bastone quella volta, grazie agli insegnamenti di Dervin che nel frattempo avevo rincominciato a frequentare e che stava diventando un uomo d'arme, si mosse veloce come un lampo e colpì l'uomo su quella che pensavo dovesse essere la sua mano. Da dietro le foglie sbucò per fortuna qualcuno che prese anche le mie difese e scacciò l'uomo proprio mentre ne vedevo un altro, del tutto simile e che sentivo essere colui che avevo salvato, inseguirlo nel fitto della foresta. Volevo lanciarmi anch'io all'inseguimento quando la persona che mi aveva salvato mi mise una mano sulla spalla e mi ordinò di ritornare a Torre Arcana. Sparì anche lui più in fretta di quanto immaginassi e non vidi mai chi fosse, anche se sospetto si tratti proprio di lui dato che sentivo una forte necessità di eseguire immediatamente il suo ordine.

Il giorno dopo fui convocata con urgenza da uno dei maghi dell'accademia che mi chiese di raccontargli tutto. In fondo l'omino non mi aveva mai detto di tenere segreto quello che avevo visto e così gli raccontai tutto, compreso il potere curativo della foresta. La mia vita a Torre Arcana non fu più la stessa: i lati positivi furono che non dovetti più cucinare nè lavorare e che iniziai a studiare, spesso con Dervin, letteratura, riti magici e botanica, ma il lato negativo fu una decisa privazione della mia libertà con ore e ore di studio da me fatto e soprattutto da me subito ad opera dei maghi dell'accademia. Già quella vita mi stava decisamente stufando e il mio mancato girovagare per la foresta mi stava rendendo veramente triste quando un altro problema si aggiunse. Arrivò dapprima una madre con un figlio febbricitante chiedendomi se potessi fare qualcosa per lui e, ricordandomi della mia fanciullezza, chiesi alla foresta di fermare le sofferenze del figlio. Questa notizia si diffuse celerrimamente nei dintorni dell'accademia e io proprio non seppi dire di no a nessuno, fino a quando mi si presentò un poveretto che sosteneva di essersi ferito con un'ascia tagliando un albero ma sul quale nutrivo seri dubbi vista la spavalderia con cui si presentava al mio cospetto. A quanto pare nessuno spirito voleva intercedere per costui e nulla potei fare. Fortunatamente anche questa notizia si sparse abbastanza veloce, grazie all'aiuto di Dervin e di qualche ragazza nell'accademia che mi ero fatta amica. Smisero anche gli studi su di me e dopo qualche giorno senza dire nulla a nessuno me ne andai da Torre Arcana.

Incominciai a girovagare per la foresta meditando sugli avvenimenti degli ultimi tempi della mia vita e feci un voto: se mai mi fosse ritornato il dono di intercedere con la foresta di Lloidevall, l'avrei fatto esclusivamente su chi era più che degno. Inutile dire che avrei anche fatto il possibile per evitare il diffondersi di false voci di guaritrice. Dopo due anni di vita isolata assieme ai miei spiriti guida ebbi la certezza che la foresta mi ascoltava di nuovo. Così rincominciai a prendere contatti con altri esseri umani e mi offrirono un impiego come guardia e cuoca su una nave. Non avevo mai visto il mare prima d'ora, anche se ne avevo sempre sentito parlare, e l'idea mi entusiasmò molto. Accettai e sulla nave per puro caso ritrovai Dervin, uscito anche lui dall'accademia per chissà quali motivi. Comunque ero felice: viaggiare per mare e fare nuove esperienze ci voleva dopo i periodi di solitudine nella foresta e ancor prima nell'accademia e avevo di nuovo al mio fianco il mio fratellino Dervin.


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Guastaldo di Guttaperca

Nobile della famiglia Guttaperca. Da piccolo il castello dei Guttaperca e` stato attaccato con l'inganno da orde di guerriri sanguinari (i MoG) che si sono fatti aprire dall'interno da membri della famiglia Diorendall, i quali erano interessati a spartirsi le spoglie del patrimonio dei Guttaperca. Il fratello Romualdo e` stato rapito mentre Guastaldo, poco piu' che infante, viene portato dalla levatrice Francesa Jonas (emissaria della Loggia del Crepuscolo), dalla sorella, al servizio della Casa del Falco Dorato. Essi, impietositi dalla storia e conoscendo i Guttaperca, decisero di crescere il piccolo Guastaldo come un loro figlio, anche se sempre ricordarono a Guastaldo le sue origini e la sua triste storia, per spronarlo a tenere un comportamento dignitoso e a ricordare le proprie origini di nobilta', nonche' per infondergli quel desiderio di riedificare la Casata.


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Olaf dei Monti del Sogno

Nano estroverso e sboccato, sempre pronto a menar le mani ed ad una buona bevuta - purche' non sia lui a pagare!

Sicuramente la domanda piu' frequente nelle osterie di Eliendall e' chi e' Olaf.

Nessuno discute sul fatto che e' un nano, che e' sempre ubriaco, sboccato e attacca brighe, che lascia sempre il conto da pagare a qualcun altro che generalmente non esiste.

Non sono queste le cose che fanno riflettere, ma altre.........

Perche' affronta 3 avversari ridendo, perche' e' cosi bravo a difendersi a schivare, perche' riesce quasi sempre a caricare la sua ascia a doppio taglio.......

Olaf. figlio di Gandal, comandante delle gurdie dell signore dei monti del sogno lord Kinson. Olaf ufficiale della milizia speciale di lord Kinson.

Tutto accadde 3 anni prima. Olaf era il comandante della scorta personale della sacerdotessa Enya. Era settembre innoltrato e la sacerdotessa era stata invitata a Nord nelle terre del Dragone per festeggiare l'equinozio di autunno, rito importantissimo per far si che l'inverno ormai alle porte non fosse troppo rigido.

Tutto era pronto per la partenza, Olaf aveva scelto un piccolo gruppo di guardie, molto ben addestrate e esperte. Tutto faceva prevedere un viaggio veloce e senza troppe difficolta' soprattutto per la quantita' di birra che Olaf aveva fatto caricare sul carro provviste.

Olaf sapeva che la sua carriera era ormai rovinata per questo suo "piacere" ma si rendeva anche conto che la sua esperienza, tecnica e capacita' tattica erano troppo prezione perche' lo degradassero o peggio ancora cacciassero dalla milizia.

All'alba della mattina seguente si misero in cammino ma subito la fortuna gli fu avversa. Dopo solo 4 ore di cammino incomincio' a piovere, una pioggia sottile e insistente. in poche ore i carri incominciarono ad avvanzare a fatica, ma il peggio era che il tempo non voleva migliorare.

Dopo cinque gioni di marcia entrarono nel regno del Leone, la meta non era lontana ma la stanchezza si incominciava a far sentire. Avevano due giorni di ritardo e l'equinozio era vicino. La sacerdotessa era impaziente e nervosa quindi Olaf decise di forzare la marcia. Per incoraggiare e rincuorare il gruppo, nelle soste Olaf permise di bere della birra. Sapeva che era pericoloso ma non si sentiva di privare i suoi uomini anche di questo piccolo privilegio, marciarono tutta la notte e si fermarono solo alle prime luci dell'alba alle pendici dei monti Eridoines. Dormirono solo alcune ore. Ai nani che avevano montato di quardia Olaf permise di riposarsi sui carri. Ormai il viaggio era alla fine e il lago Ashin non lontano. La sera era ormai vicino, la pioggia non cessava e il vento freddo da nord torturava i nani ormai esausti. La strada entrava in un fitto bosco di abeti rossi e subito la luce calo'. Per i nani non era un problema e Olaf stanco si piazzo sul carro dei viveri e si scolo' una pinta di birra. In un attimo la stanchezza prese il sopravvento e si addormento'.

A svegliarlo fu in dolore allucinante a una gamba seguito da urla. Subito capi' di cosa si trattava. Erano caduti in una imboscata. Una ventina di orchetti e goblin armati fino ai denti si avventarono sui nani. Olaf vide una freccia impiantata nella sua gamba, con un gesto di rabbia se la tolse, salto a terra e impugnata la sua ascia incomincio' a staccare testa e braccia a destra e a manca. Ma subilto si rese conto dell'inferiorita' numerica dei suoi uomini. Provo' a lanciare ordini a suoi veterani, ma il caos ormai era totale. era la fine. Distratto da questi pensieri un goblin lo aggiro affondando la sia spada, la sua reazione fu disperata, si giro' e affronto' con un impeto di rabbia e disperazione il goblin decapitandolo. Questo fu il suo ultimo errore. I due orchetti che aveva di fronte approffittarono di questa sua azione disperata e lo infilzarono contemporaneamente. Da quel momento il nulla.

Olaf si sveglio' in una camera spoglia, una anziana donna lo stava medicando. Lo spettro della sua inefficenza lo aveva torturato creandogli incubi terribili, e il suo volto era tirato e sudato. Alla sua destra seduto su uno sgabello un cavaliere con la sua armatura e le insegne del dragone sulla corazza di maglie.

La spada bastarda era sfoderata e il mento del cavaliere appoggiato sulla sua elsa.

Quando vide Olaf sveglio si avvicino' e si presento' " salve, sono Ross Devall, capitano delle guardie del Dragone. Vi stavamo venendo in contro preoccupati del vostro ritardo ma siamo arrivati tardi. Olaf capi' subito cosa voleva dire. Ripenso' ai suoi uomini, ai suoi amici, poi guardo' Devall e gli disse: - dimmi come sta' la sacerdotessa Enya?. - Nessuna traccia di lei, i miei uomini comunque hanno individuato la direzione presa dai vostri agressori e li stanno seguend -. A queste parola Olaf salto' giu' dal letto, e incomincio a vestirsi. Nel frattempo chiese a Ross se poteva procurargli un cavallo e accompagnarlo all'accampamento, egli accetto. Quando fu pronto usci' con il cavaliere nel cortile; li' un cavallo lo stava aspettando, sellato, e i due soldati partirono al galoppo. Dopo poche ore arrivarono in una radura, situatata in cima ad un colle non lontano dalla zona dell'agguato. Gli uomini di Ross erano gia' appostati. Ross e Olaf organizzarono l'attacco. Verso mezzanotte si mossero, fecero fuori le guardie e si lanciarono nel campo. Quello che segui' e' leggenda. Si dice che l'ascia di Olaf fosse come guidata da piu' nani, che sembrava infermabile. Dopo solo 5 minuti nel campo regnava il silenzio assoluto.

Olaf prese una torcia e incomincio' a perlustrare il campo seguito da Devall. Nella seconda tenda trovarono cio che cercavano. Enya era distesa a terra. sul suo corpo i segni delle violenze subite. Ross rimase impietrito. Enya la grande sacerdotessa di Thornerin era umana, una fanciulla giovane forse ventenne. Olaf cade in ginocchi, la prese dolcemente fra le sue braccia, ma quel corpo omai freddo non rispose ai suoi richiami e alle sue lacrime.

Rientrato in patria si presento al cospetto di Lord Kinson. Il suo rapporto fu dettagliato, Olaf non tralascio' nulla e quando ebbe finido si congedo' dal suo signore mettendosi in esilio volontario. Il suo spirito era distrutto e la sua coscienza lo continuava a torturare. Il sonno ormai era ricordo tranne dopo qualche buona bevuta.....

Ecco chi e' Olaf.

Un nano che opresso dai suoi ricordi cerca di trovare una via per redimersi dai propri peccati


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Slash

Guerriero spavaldo e ben deciso a dimostrare il proprio valore.

Figlio di un cuoco a bordo di un veliero, Slash naufragò insieme a padre, madre e sua sorella Jasmine durante una strana tempesta al largo dell'isola di Torre Azzurra. Salvandosi miracolosamente la famiglia di Slash venne accolta dai maghi della Torre in quanto le qualità del padre erano in quel momento richieste essendo il vivandiere precedente scomparso in maniera mai chiarita. L'infanzia di Slash passò tra le scogliere dell'isola seguendo il padre nella scelta dei taglio di pesce migliori e talvolta pescava lui stesso. In tempo trascorreva tranquillo fino a quando, avventuratosi in un anfratto della scogliera nei pressi della torre, bevve da una pozza in cui vi era una fontanella dall'acqua particolarmente trasparente ma con riflessi fortemente azzurri. Dopo essersi chinato ed avere bevuto scorse in una nicchia sotto il livello dell'acqua un oggetto alquanto strano, una coppa con la base del calice a forma di piramide ed una serie di strani segni incisi alla base dello stesso [ndM: puo' essere sia l'artefatto che poi si ingigantira', sia l'incantesimo con le istruzioni per farlo funzionare o trovarlo]. Nel momento in cui la toccava ricevette una breve scossa che lo spaventò molto e lo spinse a raccogliere l'oggetto con uno straccio e a confidarsi con suo padre. L'uomo, forse ancora più sorpreso del figlio, fece l'errore di confidarsi con un accolito dell'ordine dei maghi il quale si fece consegnare l'oggetto e consigliò a tutti di stare zitti sul ritrovamento effettuato. Da quel giorno le cose cambiarono sull'isola, vi erano sovente tempeste talmente forti da sconquassare perfino l'interno, mentre il pesce sembrava disertare le acque antistanti. Capita la pericolosità della situazione, il padre di Slash stava organizzando la fuga della famiglia quando una notte la sua abitazione fu assalita da strane figure sibilanti che tentarono di sfondare la porta; dalla finestra si poteva notare in lontananza illuminata dai fulmini una figura che sembrava comandarle. Fu dato fuoco alla casa ma Slash e famiglia riuscirono a scappare da un tunnel approntato in precedenza dal capofamiglia. Mentre fuggirono sentirono un urlo agghiacciante e solo al mattino, quando tornarono, si accorsero che quello era l'urlo di morte del mago a cui avevano consegnato lo strano oggetto e che ora giaceva ai loro piedi squartato come da grosse zanne [ndM: primo tentativo di farlo funzionare]. Raccolte le poche cose nascoste in una buca nel terreno la famiglia riuscì a lasciare l'isola per riparare, dopo un naufragio e un lungo peregrinare per le Baronie Settentrionali, nei pressi della foresta di Lloidevall dove la famiglia di Slash risiede ancora. Da allora, però, Slash ha mostrato nel corso degli anni strane premonizioni, sogni e visioni che forse sono legate al tocco del calice o all'acqua da esso contaminata.

E' un accanito giocatore di Bussola!

Epitaffio scritto da Giulia sulla tomba di Slash:

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In questo tumulo è chiuso, ma solo con il corpo, Slash di Lloidevall,
ambasciatore personale del rosso mago, perché, grazie ai suoi meriti, egli
vive in tutto il Vecchio Continente. Egli fu con Talantir e poi con la
Chimera, ma era da Lloidevall di stirpe: e perciò era soave a tutte le
genti. Il volto era buono all'aspetto, l'animo impulsivo, e terrifico fu pei
nemici. Battendosi con pochi compagni contro gli orchi di Lloidevall ne
vinse infiniti e salvo la Grehala, e prima sconfisse il nobile Assassino,
conquistando la stima dei suoi sovrani. Con l'aiuto di un pugno di compagni,
condusse le vittoriose truppe del Leone contro l'oscuro, vincitore,
acclamato, trionfa e uccide il mistosangue padre. Per le membra egli chiese
riposo nel tempio: qui è giusto che, morto tradito dal suo amico e ucciso da
un'amica, egli resti.
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Sopra la tomba c'è lo stemma araldico che Guastaldo ha creato per lui: due spade incrociate, di cui una con delle scanalature, con un acero di Lloidevall sullo sfondo.


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Adamo

Guerriero agile e spigliato, che aspetta il momento buono per mettersi in mostra.


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Rufus

Goblin sempre attivo e sempre nei guai, sembra cavarsela in tutte le occasioni.


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Cromos dei Monti del Sogno

Nano del Clan dei Monti del Sogno, investito del Potere Runico, ambisce a divenire un Druido Runico di Thornerin.

Olaf era preoccupato. La missione aveva avuto pieno successo e questa volta era riuscito a salvare con l'aiuto dei suoi compagni la principessa Elfa Lady Isaniel . Ora era nel campo allestito dagli elfi, il loro incontro era stata una vera fortuna, avevano saputo cose importanti e tutti erano stati premiati con oggetti interessanti, come la pietra preziosa donata al gruppo per ripagarli delle perdite subite.... o l'arco donato a Slash. Ma tutto questo non era importante. Una sensazione di pericolo imminente era dentro di lui. Le parole del vecchio eremita gli tornavano alla mente con l'effetto di un martello sull'incudine.

All'alba si mise in viaggio. Era dura separarsi dagli amici soprattutto dallo spadaccino. Era stato in gamba con l'assassino e non solo, ma si rese conto che la persona che pi gli stava a cuore era Giulia. I motivi erano due: 1) gli ricordava molto la sacerdotessa, 2) aveva dentro di lei qualcosa, e lui era sicuro che avesse bisogno di protezione, ma soprattutto di fiducia!! Quindi parti'; il destino fu clemente e durante i tre giorni di viaggio non incontro nessuno di cosi' pericoloso da impensierire la sua ascia. Alla sera del terzo giorno giunse al cancello della citta', era esausto e affamato; in questi tre giorni di marcia forzata aveva solo mangiato frutta secca e pane azzimo, dormito poco e male, ma si diresse subito a chiedere udienza al suo capo Clan, Maestro Groffen. Fu accolto immediatamente, Il principe Elfo Lord Mires gli aveva consegnato un manoscritto da consegnare al Maestro. ........lesse attentamente. Il suo viso si fece grave e guardo' a lungo Olaf poi disse:" Olaf vedo che hai tenuto alto l'onore tuo e del tuo clan anche quando eri in esilio. A quanto pare la situazione e' gravissima. Da ora sei reintegrato nelle guardie col grado che avevi prima dell'esilio. Ora vai a riposare, fra sei ore dovrai presentarti al consiglio per un rapporto dettagliato degli eventi". Olaf si congedo'. Prima di riposare aveva una cosa da fare, si diresse verso il tempio del dio Thornerin. Fuori del portone si trovava un massiccio nano, le sue vesti erano diverse, solo le guardie del sacro tempio le indossavano, erano nere con le sacre rune ricamate con fili d'oro, sopra un corpetto di lucente metallo e sul petto il simbolo del dio Thornerin. Ma la cosa che impression Olaf fu l'enorme ascia, appoggiata a terra tra le gambe del nano. Olaf si avvicino ": Sono Olaf figlio di Gheoren Vorrei parlare con l'allievo Cromos! urgente!

La guardia apri il portone ed entro, dopo pochi minuti apparve Cromos, era completamente avvolto dal suo mantello, il cappuccio era abbassato sulle spalle, Olaf osservo' il giovane druido. La cicatrice sul suo volto era profonda e obbligava il nano a tenere la barba solo sul mento, anche se curata da Olaf sembrava che assomigliasse piu' alla barba di un montone che di un nano e sulle sue labbra apparve un sorriso! In quel preciso istante Cromos carico': aveva la sua accetta in mano e sferro il colpo. Olaf era pronto con lo scudo, paro' il colpo e con l'ascia fece partire un colpo di taglio; Cromos lo schivo', ma la mossa gli fece perdere l'equilibrio finendo a sbattere sulla parete. Olaf stava incalzando e si trovo' avvinghiato a Cromos. In quel preciso istante una sonora risata si alzo'. "Olaf amico mio vedo che tutta la schifosissima birra che hai bevuto nelle osterie del sud non ti ha peggiorato" Olaf guard Cromos negli occhi " non posso dire lo stesso di te Cromos, leggo negli occhi la tua maturita', fra breve diventerai druido e dovr inginocchiarmi davanti a te". Cromos rise " tu Olaf non dovrai mai inginocchiarti a me poiche' la nostra amicizia troppo grande e profonda" .

I due nani entrarono e si avviarono alle stanze di Cromos. Il racconto di Olaf fu dettagliato e preciso e arrivo' al dunque:" Cromos sono qui per chiederti di andare in cerca del gruppo. Loro hanno bisogno di un nano che li conduca verso la luce....."

Cromos era molto pensieroso "Olaf non e' cosi' semplice: dovro' andare dal mio maestro a chiedergli permesso. Quando ritornerai dal consiglio mi troverai nelle tue antiche stanze e li avrai una risposta.

Cromos si diresse immediatamente alle stanze del maestro. Thot era in meditazione, Cromos entro' e si inginocchio' in attesa che il maestro si destasse. Ad un tratto Cromos si senti' osservato, Thot era in piedi e i suoi occhi lo stavano esaminando :" Cromos sei molto cresciuto e le rune non sono pi un segreto per te ma molta strada devi ancora fare per diventare un druido. Parti immediatamente e raggiungi un gruppo di esperti combattenti, tu sai di chi parlo; sar la tua occasione per riuscire a debellare il tuo lato oscuro, ricordati che se fallirai il tuo destino sar quello di seguire la via delle tenebre; ora la mia visione finalmente chiara, non sorprenderti di cio', forse un giorno anche a te le sacre pietre daranno la visione sul mondo futuro": Cromos si alzo, e porse un profondo inchino al suo maestro. Si volto' e usci'. Come sempre il maestro era riuscito a sorprenderlo, con passo deciso si avvi verso le stanze di Olaf, la sua decisione era stata presa.

15 anni prima...............................................

Atos e Cromos erano in ginocchio, di fronte a loro il maestro; Thot era in meditazione, gli occhi sbarrati completamente bianchi. Sapevano che era in trance, stava guardando il futuro. La magia delle sacre pietre runiche era ormai profondamente radicata in lui e le sue doti di chiaroveggente erano note anche se le visioni che riceveva erano di difficilissima interpretazione.

Cromos da sotto il suo cappuccio osservo' la stanza; non era la prima volta che entrava nelle stanze del maestro ma restava sempre meravigliato dalla semplicita' degli arredi. A sinistra un letto basso di legno con un materasso di paglia, sopra una coperta di pelle di montone, a destra una scrivania, sopra alcuni grossi volumi, sicuramente di magia, dietro una sgabello in legno. Nel muro una nicchia difesa da una grigliata in ferro battuto di pregevole fattura ma anch'essa molto semplice, dentro la nicchia il cofanetto contenente le sacre pietre runiche. Al centro della stanza un tappeto di lana grezza dove il maestro passava le ore a meditare. All'improvviso Thot si desto'. Osservo' i due allievi. Atos era un nano possente, la sua forza era conosciuta in tutta Shoven Rook. Di solito si allenava al combattimento con una scure doppia fatta da lui che pochi, causa il peso, riuscivano a maneggiare; era un abilissimo fabbro e le sue armi erano terribilmente belle e efficaci; il suo sguardo era semplice e non nascondeva di certo il suo carattere mite. Non era molto portato per le materie teoriche dove aveva grossissime difficolta', come pure nella meditazione, ma il suo carattere cocciuto non lo faceva desistere. I suoi piu' grandi difetti erano l'impulsivita' e la permalosita'.

Cromos, era molto pi piccolo di lui, molto agile ma soprattutto veloce. La sua arma preferita era l'accetta. L'aveva forgiata lui. completamente di metallo con l'impugnatura in legno. Il manico finiva a punta e sul lato opposto un uncino che usava spesso per arpionare le spade e disarmare il nemico. Il suo sguardo era fiero ma soprattutto estremamente intelligente. Nelle materie teoriche era estremamente rapido nell'apprendere e tutte le materie creavano in lui una grande curiosita'. Il suo piu' grande difetto era l'invidia soprattutto verso chi aveva pi talento di lui. Molto spesso l'invidia lo portava a atti sconsiderati e aveva rischiato pi volte di essere allontanato dalla scuola. Ma se era ancora vivo lo doveva al suo amico Olaf sempre con lui nel bisogno. Olaf non solo era il suo migliore amico ma soprattutto il suo compagno di allenamento al combattimento.

Poi il maestro parlo':" Voi siete i migliori allievi che la scuola abbia avuto negli ultimi 100 anni, ma l'oscurita' e ancora in voi e il rischio che percorriate la via del male ancora molto forte. Vi aspetteranno molte prove che decideranno chi di voi sara' il mio successore e l'erede delle sacre pietre. Ma ora parliamo del presente. Vi ho convocato oggi perche' ho un compito da affidarvi. Dovete sapere che a nord del monte Dorvo un orco di nome Sav sta raggruppando alcune tribu'. Alcuni nostri esploratori hanno intercettato una squadra di orchetti e li hanno uccisi ma uno prima di morire ha parlato di molte cose. E' certo che fra tre mesi Sav avra' un incontro con un altro orco, Virdo, a capo anche lui di alcune tribu'. Se cio' avvenisse saremmo tutti in pericolo. Il capitano Resta Khort avra' il compito di assaltare l'accampamento dove si terra' la riunione. A te Athos verr dato il compito di forgiare uno scudo, dovra' avere la capacita' di resistere per tutto il combattimento. Tu Cromos invece dovrai forgiare una spada corta, con una sola caratteristica: dovra' avere la capacita' per un solo colpo di penetrare qualsiasi metallo, pietra o altro, per essere sicuri che Sav non sopravviva alla battaglia. Ora andate! il tempo a vostra disposizione e' breve."

I due allievi si alzarono e nel massimo silenzio uscirono, si diressero entrambi alle proprie stanze. I mesi passarono e il giorno delle consegne degli oggetti arrivo'. Cromos era sicuro di aver forgiato un oggetto meraviglioso, e questo sapeva sarebbe stato un altro passo verso la successione al maestro. La spada aveva una lunghezza di 35 centimetri, era alta 10 e terminava con una punta curva. Il metallo era lucido e sul bordo superiore della lama erano raffigurate delle battaglie. Ma quello che spiccava di piu' era la runa impressa nelle lama da entrambi i lati. Cromos dopo la prima forgiata aveva temprato la lama oltre cinque volte e tutte le forgiate utilizzando la magia. Il manico era in radica. L'albero era della foresta sacra dei Hotre dove una volta vivevano gli elfi, era lavorato e sul fondo dell'impugnatura erano incastonate delle pietre preziose. Ma la cosa importante era la sensazione che si provava ad impugnarlo. Il legno trasmetteva una sensazione di forza e saggezza, data dalla eta' dell'albero da cui era stato preso il legno. Il fodero era di semplice cuoio ma impresso a fuoco era raffigurato un nano che decapitava un orchetto. Si incammino' verso le stanze del maestro, ma quando vi giunse una amara sorpresa lo aspettava. Atos era li, in mano aveva lo scudo. Era bellissimo. La sua forma era ovale; sui suoi bordi era raffigurata una seduta di caccia, nella parte superiore si vedeva un elfo trafiggere con una freccia un cervo e tutto era disegnato con oro. Al centro era raffigurato lo stemma della famiglia del capitano Resta Khort ma esattamente nel centro dello scudo era impressa la runa. L'impugnatura dello scudo era in cuoio, ma la sua fattura era perfetta. Le cinghie avevano la runa impressa oltre a diversi raffigurazioni di caccia.

Una sensazione di oscurita' si impadron di lui. Non poteva permettere che Atos avesse la meglio, in un attimo capi' cosa doveva fare:" Ciao Atos, vedo che hai speso male il tuo tempo. Lo scudo e' troppo semplice e sicuramente non verra' apprezzato dal maestro. Invece che correre dietro a tutte le donne che affollano le taverne del centro avresti potuto dedicarvi un po' piu' di tempo". A Queste parole Atos reagi' troppo impulsivamente, la sua natura permalosa aveva avuto il sopravvento, afferro la sua scure e sferro' un terribile colpo, ma Cromos era pronto, senza difficolta' schivo il colpo di Atos e impugnata la sua accetta colpi il braccio di Atos tagliandogli di netto la mano. Nello stesso istante molte cose successero. Entrambi i nani furono avvolti da una sensazione di immobilita' assoluta, solo i loro pensieri erano liberi di vagare e un terribile senso di dolore gli avvolse, ma l'evento piu' importante fu la polverizzazione delle armi da loro create. Infatti sia lo scudo che la spada dapprima si frantumarono come se fatte di vetro e poi si trasformarono in polvere. Si ritrovarono per terra. Atos si rialzo per primo e vide il maestro, subito anche Cromos fu in piedi e quello che vide non riusci' piu' a dimenticarlo. Il maestro era in piedi ma sembrava fluttuare, i suoi occhi erano bianchi ma la sensazione nel fissarli era quella del vuoto assoluto. Era avvolto da una luce azzurra, la magia delle sacre pietre.

Ora era tutto chiaro! La prova non era la costruzione degli oggetti ma il controllo del loro lato oscuro. Il maestro parlo'." sono profondamente deluso da voi, poveri stolti! La punizione per ci che avete fatto sar terribile. Atos, in parte ha gia provveduto il fato a punirti. Ma per i prossimi due anni dovrai dedicare meta' della tua giornata allo studio dei sacri libri, mentre l'altra meta' dovrai vagare nelle osterie strade e caserme dove sarai insultato e deriso per la tua menomazione che ti portera' a essere considerato un mezzo nano. Ma per te Cromos nessuna pieta' nella pena. Dovrai andare in ritiro immediatamente sulla cima del monte Innevato, li dovrai rimanervi per due anni. Non ti sar permesso nessun contatto con Nano, Elfo o Umano. Ti auguro che il destino sia pietoso con te dandoti la morte ma se ci non dovesse accadere ti attendo qui fra due anni". Detto cio' il maestro si volto' e entro' nelle sue stanze. Nei due anni che seguirono furono moltissime le cose che accaddero ma due segnarono la vita di Cromos.

La prima successe il primo autunno, Cromos era sceso nel bosco a caccia di selvaggina, aveva bisogno di seccare carne per riuscire a sopravvivere all'inverno. Con l'arrivo delle prime nevicate sarebbe stato impossibile scendere dalla cima fino a primavere inoltrata. Era una giornata fredda e ventosa. Nell'aria l'odore di neve. Era il secondo laccio che trovava vuoto e solo una lepre pendeva dalla sua cintura, era molto preoccupato e i suoi pensieri vagavano veloci. Le sue difese erano abbassate e i suoi sensi spenti. Quando si alzo' dopo aver controllato il laccio la sorpresa fu terribile. Un orso era davanti a lui, si reggeva sulle gambe posteriori e il suo sguardo era terribile. L'orso attacco' Cromos con una zampata ma il nano riusci' in parte a schivare il colpo, ruotando su se stesso e finendo il movimento con una capriola, rialzatosi aveva in mano la sua accetta, l'orso attacco' una seconda volta ma l'ascia scese veloce amputando l'avambraccio dell'animale, subito Cromos vibro' un secondo colpo decapitando l'animale! Guardando l'animale a terra subito penso' a Olaf. Le ore di allenamento al combattimento fatte con nano erano servite a salvagli la vita e ringrazio' Olaf per non aver mai risparmato colpi ed insulti durante l'addestramento; inoltre aveva risolto il problema della carne. Ma subito altri pensieri incominciarono a invadergli la mente. Doveva macellare l'animale troppo pesante da trasportare, inoltre avrebbe dovuto fare piu' viaggi per portare la carne fino alla caverna. Seconda cosa la ferita era molto piu' grave di quanto pensato in un primo momento. L'adrenalina aveva attutito l'effetto del colpo ma ora che si stava calmando tutto era piu' chiaro. La zampata dell'orso aveva colpito sia il viso, sia il torace del nano. Sul torace la ferita era molto leggera, per fortuna il corpetto in cuoio aveva fatto il suo lavoro. Ma la ferita sul volto era molto profonda, partiva da sotto l'occhio sinistro e attraversava tutta la faccia. l'unghia era andata in profondita' aprendogli una ferita profonda, la guancia era forata e si intravedevano i denti del nano. Era chiaro che la velocita' era essenziale per sopravvivere. Doveva tamponare per primo la ferita, per secondo raccogliere le erbe che gli avrebbero permesso di sopravvivere alle febbre che sarebbe sopraggiunta e per non far imputridire la ferita, e per finire macellare l'orso. Il destino volle che Cromos riuscisse a fare tutto cio' ma le settimane seguenti furono terribili. Ma il destino aveva in riservo altre cose per Cromos e anche l'inverno passo'.

La seconda avvenne poco prima dello scadere dell'esilio. Cromos era nel bosco e stava cercando radici commestibili, aveva cacciato un'anatra e stava incamminandosi verso la grotta. ma un rumore lo blocco'. Si incammino' lentamente, davanti a lui una leggera collina finiva su una piccola radura. Alla fine della radura la montagna saliva verticale. Sotto alla roccia quattro orchetti stavano litigando per dividersi una carcassa di cervo. Cromos si avvicino' lentamente, Si concentro' prese dalla tasca interna del suo mantello due sassi di granito finemente lavorato; sopra ogni sasso era scolpita una runa. Molto lentamente gli occhi di Cromos si schiarirono fino a diventare bianchi, la fronte era tirata e gocce di sudore incominciarono a formarsi. All'improvviso dalla parete rocciosa si staccarono dei grossi massi. Per gli orchetti non c'era possibilit di scampo. Morirono tutti. Cromos si risveglio a sera inoltrata. Il sole a ovest era ormai solo una piccola palla rossa. Lo sforzo era stato enorme quasi a rasentare la morte, ma la magia era riuscita. Lo studio fatto durante le interminabili ore rinchiuso nella grotta da metri di neve aveva portato i suoi frutti. Con cuor leggero si mise in cammino. Era giunto il tempo di tornare alla sua citta'.

Ancora una volta Atos e Cromos erano in ginocchio, di fronte il loro maestro:" vedo che questi due anni vi sono serviti per crescere e migliorare. La vostra pena e' stata scontata e da ora siete riammessi alla scuola". Cromos parlo':" maestro, in questi due anni di esilio e ritiro ho pensato molto a come sdebitarmi con Atos per il danno fattogli e con il vostro permesso e il suo aiuto ha intenzione di costruire un'ascia che gli permetta di essere il possente guerriero di una volta". Il maestro resto in silenzio. Stava valutando la richiesta, poi parlo': " le mie visioni ora sono piu' chiare, l'arma dovra' essere forgiata dal vostro lavoro comune, inoltre vi sar permesso l'utilizzo delle sacre pietre".

Cromos e Atos impiegarono tre anni a finire l'ascia, ma si sa i nani non hanno fretta! il risultato fu sorprendente. Era un ascia a due lame, con il manico completamente in metallo, al posto dell'impugnatura c'era la protesi anche essa completamente in metallo, il braccio di Atos si adattava perfettamente. L'ascia aveva due caratteristiche: la prima di resistenza, la secondo di leggerezza. Ma la cosa veramente sorprendente era che quando l'ascia colpiva un oggetto trasmetteva ad esso il suo peso originale. Sulle due lame c'erano raffigurate due azioni, il loro combattimento e la costruzione dell'arma...


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Elias Welfer O' Kobor di Torre Incantata

Apprendista dell'Accademia di Torre Incantata di Eliendall


"Bene, Elias, finalmente siamo riusciti ad incontrarci. Sai, i saggi dicono che non è il maestro che sceglie il proprio allievo, ma è l'allievo che si mostra al suo maestro. Io mi ricordo bene di te, del periodo in cui frequentavi Torre Incantata, fin da allora, ho capito che tu eri una persona particolare e che i nostri destini erano in qualche modo uniti. Ed ora... eccoci qua!"

"Già! In una puzzolente taverna. Mi stia a sentire Sr. ...?!"

"Tommaso D'O..."

"Tommaso D'Ongrada! Mi dispiace, ma faccio sempre fatica a ricordare i nomi delle persone."

"Forse sarebbe più facile se smettessi di bere!"

"Questi non sono fatti vostri!

In ogni caso, quello che volevo dirle Sr. Tommaso, è che non so minimamente di cosa Lei stia parlando. Che cos'è questa storia del maestro e dell'allievo? Io non sono venuto a cercarla, e non ho nessun'intenzione di assumerla come mio maestro. E poi giacché, come Lei dice, mi aveva già notato a Torre Incantata perché non si è proposto allora come mio insegnante?"

"Non era quello il momento giusto. Sapevo che, se tu eri veramente la persona giusta, ci sarebbe stata un'altra occasione, un momento più opportuno."

"Opportuno! Mi sembra che voi arriviate troppo tardi. Mi dispiace ma avete perso la vostra occasione, ho ben altro da fare ora..."

"GIÀ! COME BRUCIARE LA TUA VITA CON QUESTA ROBA!"

Con un colpo rapido e violento della propria mano, Tommaso colpì il dorso di quella di Elias facendogli volare via il boccale, il quale rotolò sul tavolo rovesciando l'ultimo goccio di vino. Elias rimase immobile a fissare Tommaso negli occhi. Due occhi azzurri che contrastavano con il colore olivastro della pelle solcata da profonde rughe, come quella di un vecchio pescatore consumato dal sole e dal sale. Tommaso aveva una folta barba con capelli lunghi e grigi. Una corporatura normale e, il suo portamento, gli conferiva un aspetto robusto e vitale. Difficile attribuirgli un'età, anziano certo, ma ancora agile e carico d'energia. Elias, invece, era un ragazzo abbastanza alto, di buona costituzione anche se, le vicende passate e l'abuso dell'alcool, lo avevano indebolito molto. Dimostrava certo più anni di quanti aveva in realtà. La barba incolta, i capelli castani spettinati ed arricciati, i vestiti poco curati gli conferivano un'aria del tutto trasandata. Ma la cosa che colpiva di più in lui, erano gli occhi, verdi, tristi, che trasmettevano una sensazione di malinconia così intensa da far venire i brividi.

I due rimasero immobili ad osservarsi, senza nemmeno respirare, poi Elias distolse lo sguardo, riprese il boccale tra le mani e fissandolo disse:

"Che ne sapete voi di cosa mi è accaduto nella vita? Come potete giudicare ciò che faccio?"

"Non ti sto giudicando Elias", disse Tommaso con voce calda e tranquilla, "Sono qui per aiutarti, lo so che tu hai bisogno di me, come del resto ne ho io di te. Te l'ho detto, maestro ed allievo si trovano, non si scelgono".

Elias alzò lo sguardo incontrando quello di Tommaso che lo stava ancora fissando.

"Cosa dovrei fare ora? Raccontarvi tutta la mia vita?"

"Sarebbe già un inizio.", gli rispose il mago accennando un sorriso.

" Se è così che volete, mettetevi pure comodo".


"Non ho mai avuto certo una vita normale. Già la mia infanzia non è stata tra le più tranquille. Non ho mai conosciuto mia madre, perché è morta alla mia nascita, e di mio padre mi rimangono ben pochi ricordi, anche lui mi ha lasciato presto. Avevo solo sette anni quando ebbe un incidente, nel bosco, così almeno mi fu riferito. Mentre tagliava delle piante un grosso tronco lo ha investito uccidendolo. Faceva il boscaiolo, ma non so se fosse realmente il suo vero lavoro, si chiamava Welfer O'Kobor, di lui mi rimane solo questo, il mio secondo nome Welfer ed il suo cognome. Me lo ricordo grande e robusto.....un uomo molto buono, un padre affettuoso....

Rimasto orfano fui adottato dalla sorella di mia madre che viveva a Jaslin.

Non avevo mai conosciuto mia zia Greta, Lei si era sposata con Hobard Dewrey un nobile della città, e quindi aveva acquisito un rango che nulla aveva a che fare con mio padre. Io non ero certo il nipote perfetto da adottare, ma lo zio Hobard si trovava in una posizione tale da non consentirgli di vedere il proprio nome, e quello della famiglia, infangato da voci maldicevoli a riguardo dell'abbandono di un bambino orfano e per di più con legami di parentela. Sebbene con riluttanza e senza grandi entusiasmi, fui quindi accolto nella lussuosa dimora dei Dewrey, e ben presto la mia posizione in quella sede, divenne quella di un servitore anziché di un secondo figlio. Già, perché i miei zii avevano un figlio, Andreas Miklo Dewrey (Miklo era il nome di un illustre avo, si dice, tra i fondatori della città).

Anreas era figlio unico, il coccolo di casa, servito e riverito in tutto e per tutto, e la mia presenza non andò certo ad intaccare minimamente la sua posizione di leader assoluto. L'unica cosa che condividevo con lui erano le ore di studio. Mia zia era fermamente convinta che nessun membro di quella famiglia, nemmeno il più declassato, doveva correre il rischio di poter essere additato dalla gente come rozzo ed ignorante, logicamente solo per una pura questione d'immagine. Per questo motivo partecipavo, assieme al venerato cugino, a lezioni private tenute da illustri professori lautamente pagati, che si svolgevano quotidianamente nel salotto della nostra lussuosa casa. Oltre gli studi, io ed Andreas non condividevamo altro: lui si dedicava a svariati e sempre nuovi giochi mentre io mi prodigavo a lavare piatti ed aiutare in cucina, lui si concedeva meritati riposi pomeridiani mentre io sistemavo letti e riordinavo camere, lui cavalcava con grazia magnifici stalloni mentre io provvedevo a strigliare e ripulire gli stessi..... Penso di aver sempre odiato mio cugino, fin dal primo istante in cui lo vidi con quei suoi capelli riccioluti e dorati, con quell'aria da putto rubicondo e paffuto sempre ben vestito e pulito. Non sopportavo neppure quel suo modo di parlare e di guardarti dall'alto verso il basso con aria di superiorità. L'odiavo con tutto il cuore e penso che il sentimento fosse reciproco.

Sono vissuto in quest'idilliaco ambiente per la bellezza di nove anni poi, all'età di sedici anni, decisi di compiere l'atto liberatorio decisivo. Nel cuore della notte raccolsi i pochi abiti a mia disposizione, mi appropriai di una limitata scorta di cibo prelevata dalla ben fornita dispensa e, racimolati i pochi denari in mio possesso me n'andai, abbandonando quella casa e quella città. M'incamminai senza una meta precisa senza, senza sapere che cosa avrei fatto, sicuro solo che il futuro, per quanto incerto, non poteva presentarsi peggiore del passato.

Vagai per molto tempo nelle campagne trovando da vivere svolgendo saltuari lavori presso le fattorie che incontravo sul mio cammino, finché non giunsi ad Eliendall.

L'impatto con la città risvegliò in me il dolore di vecchi ricordi, ma sapevo che se volevo rifarmi una vita ed avere un futuro, quello era il posto giusto da dove incominciare. Per giorni cercai un lavoro, infine riuscii a trovare un posto come aiuto magazziniere nella zona del porto, non era come fare lo scaricatore, ma quasi. La paga era quasi da fame ma in compenso avevo la possibilità di usare un angolo del magazzino come alloggio, se una branda sgangherata può ritenersi tale, comunque era pur sempre un posto dove dormire ed una spesa in meno. Quello che a prima vista potrebbe sembrare un periodo particolarmente infelice della mia vita, in realtà si rivelò un momento economicamente favorevole, poiché riuscivo spesso ad incrementare notevolmente i miei guadagni con il gioco.

Il gioco d'azzardo era molto amato dai marinai e dai lavoratori del porto e non mancavano mai, agli angoli delle taverne o nei vicoli, gli adescatori dalla mano veloce che proponevano giochi di vario tipo. Le modalità del gioco forse cambiavano, ma non cambiava il fine, il risultato, infatti, era sempre il medesimo, in altre parole un sicuro guadagno per questi abili truffatori. In quel periodo, avevo scoperto in me un'innata abilità nel riuscire a smascherare tutti i trucchetti messi in opera da questi imbroglioni, cosa che mi permetteva di sapere sempre con esattezza dove, come e quando puntare i miei soldi, racimolando ogni volta dei bei guadagni. Con mia immensa gioia e nell'incazzatura generale dei lestofanti, riuscii in breve tempo a duplicare e triplicare i miei guadagni.

Finalmente avevo trovato il modo per risollevarmi ed uscire da quello stato di miseria, ma, quando ormai avevo già accumulato un quantitativo di denaro sufficiente da poter compiere il passo decisivo verso un'esistenza più dignitosa, le porte della fortuna mi si chiusero in faccia. In faccia in realtà mi arrivarono dei sonori pugni conditi con mazzate e pedate sparse sul resto del corpo, gentilmente offerte da un gruppetto d'incappucciati che, introdottosi nel magazzino mentre dormivo, mi derubarono di tutti i miei averi. Probabilmente si trattava degli stessi balordi ai quali avevo vinto il denaro e che, da truffatori, si sentivano truffati tanto da volersi riprendere il maltolto e impartirmi una lezione. Lezione questa dalla quale ne uscii malconcio, fisicamente e moralmente.

Fui accompagnato dal proprietario del magazzino, che mi trovo il mattino seguente riverso a terra in una pozza di sangue, presso lo studio di un medico che si trovava nella zona. Medicato e rattoppato alla benemeglio, all'uscita dell'ambulatorio fui avvicinato da un arzillo vecchietto, alto circa un metro e sessanta, con addosso una specie di saio di colore verdastro, con un gran cappuccio che gli copriva la testa ed il viso del quale si vedeva solo il naso sormontante un imponente barba bianca che scendeva lunga, fino alla cinta.

-" É un peccato non saper riconoscere le proprie abilità, e ancor meno sprecarle in giochetti da nulla. "-, mi disse con voce pacata parlando quasi sottovoce ma scandendo così bene le parole da renderle perfettamente compressibili.

-" Non riesco ha capire di cosa Lei stia parlando "- gli risposi cercando di evitare il dialogo, ma lui continuò -" Certo che sai di che cosa stò parlando! Ma per quanto tempo pensi di poter continuare ad ignorare tutto ciò? Vuoi forse continuare a passare il tuo tempo in questo modo? "-

Gli risposi indispettito -" Ma insomma che cosa vuole? Non è per caso che lei mi abbia scambiato per qualcun altro? Io sono solo un aiuto-magazziniere che ha molta fortuna al gioco, è forse invidioso di questo? "- improvvisamente mi balenò in mente l'idea che fosse coinvolto in qualche modo con le persone che mi avevano ridotto in quel modo.

-" Fortuna al gioco?! Pensi sia veramente solo questo? "-

Lo guardai senza più sapere cosa dire.

-" Vedi... "- continuò -" non esiste la fortuna. Quella cosa, quella sensazione che ti indica esattamente cosa fare, la carta giusta da giocare, non è fortuna. È una capacità intuitiva che ti è data da una forza la cui potenza va al di là d'ogni tua più ampia immaginazione, una forza della quale tu finora ignoravi l'esistenza ma della quale potevi solo intuire la presenza. Se ci pensi un istante e cerchi di valutare le cose da questo punto di vista, ti renderai conto che è così "-.

-" Effettivamente... ma... "-

-" Lo so, ti stai chiedendo come posso sapere queste cose e, soprattutto, cosa voglio realmente da te. "- non risposi, ma rimasi in attesa che le cose mi fossero spiegate. -" Vedi, è da tempo che ti osservo perché ho notato subito in te queste proprietà, ed è per questo che conosco così tante cose di te, ma non pensare che io sia una specie di voyeur che si diverte a spiare la gente, in realtà stavo cercando proprio qualcuno come te. Io ho la capacità e la possibilità di insegnarti come usare consapevolmente questa forza migliorando notevolmente le tue doti naturali le tue doti naturali "-.

-" Che cosa vuole in cambio? "- chiesi perplesso.

-" Assolutamente niente, basta che tu mi segua a Torre Incantata "-.

-" Torre Incantata?! "- gli dissi con un espressione decisamente stupita -" Lei dice che non vuole nulla e poi mi invita a Torre Incantata dove, è cosa risaputa, gli studenti che la frequentano sborsano fior fior di quattrini per studiare lì. Ma si sta' forse prendendo gioco di me? "-

-" Quello che dici è giusto, ormai sembra sia di moda per la nobiltà mandare i loro pupilli da noi ad imparare qualcosa che li possa rendere migliori degli altri, diversi e superiori e per fare questo versano delle grosse somme di denaro, ingenti direi. Infatti, per tenere sotto controllo l'afflusso di questi nobili rampolli che, detto tra noi, non hanno molto da offrire, ci siamo trovati costretti ad aumentare più volte ed in modo considerevole le rette mentili. Devo comunque ammettere che è grazie a questi introiti che riusciamo a mantenere senza problemi la nostra scuola. Rimane il fatto che le nostre arti sono veramente apprese solo da chi, come te, è già in possesso di innate capacità, senza tenere conto del portafoglio, e noi Maestri di questo siamo perfettamente consapevoli. Ecco perché voglio che tu mi segua a Torre Incantata e perché non dovrai sostenere alcuna spesa. Io comunque ho bisogno di te come te di me. Durante il tuo periodo di studio avrai modo di sviluppare notevolmente le tue doti e da questo io ne potrò trarre nuovi insegnamenti. Come puoi vedere è un vantaggio reciproco "-.

Rimasi ammutolito per qualche istante, fermo a fissare quel personaggio che mi stava di fronte e finalmente realizzai chi era.

-"Ma Lei è un.. "-

-"Un mago "-, bisbiglio, -" è una parola scomoda da dire in giro, meglio non fare sapere a tutti chi siamo realmente. Non tutti hanno le idee chiare sul nostro operato ed alcuni ci ritengono pericolosi.

Mi accorgo però di essere stato scortese e di non essermi ancora presentato. Il mio nome per esteso è Donatello Rogazio, ma se tu mi accetterai come tuo tutore, potrai chiamarmi come fanno tutti i miei amici semplicemente Don. Che ne dici Elias? "-

Immediatamente fui stupito che conoscesse il mio nome, ma riflettendoci bene con tutto quello che sapeva di me, era una cosa del tutto ovvia.

-" Vista la mia situazione direi proprio che non ho nulla da perdere quindi...andiamo Don "-".


Tommaso era immobile, seduto correttamente sulla sua sedia. Se ne stava lì di fronte ad Elias, ascoltando attentamente il racconto. Improvvisamente sorrise e scuotendo la testa disse: "Don... Don... lui era fatto così, me lo ricordo bene. Come ricordo bene il giorno che tu arrivasti a Torre Incantata. Sembravi proprio un cane randagio raccolto al margine di una strada e portato al canile. Ti guardavi in giro come se stessi aspettando che qualcuno all'improvviso ti saltasse addosso per farti del male, per questo seguivi Don rimanendo attaccato alle sue vesti senza mai mollarlo un secondo."

"Devi capire che quello non era un momento facile per me, d'accordo, l'ho già detto, non avevo nulla da perdere, ma entrare in quella scuola non era un passo da nulla. Mi sentivo disorientato e non ero per nulla tranquillo anzi, ammetto che ero proprio spaventato. Don aveva ragione riguardo a quello che si dice in giro a proposito della magia e dei maghi ed io, forse mi ero fatto condizionare troppo da queste fobie collettive e certo non sentivo ancora di far parte di questo mondo. A farmi forza nell'affrontare quella situazione fu la mia curiosità e quel poco di fiducia che Don riusciva ad ispirarmi.

Ora però ci vorrebbe un goccio...".

Elias si guardò attorno cercando di individuare nel locale l'imponente mole dell'oste.

"Lascia perdere Elias e continua il racconto!" disse Tommaso con tono secco.

Il ragazzo lo fissò un attimo con espressione perplessa poi abbassò gli occhi e riprese a parlare: "Frequentare Torre Incantata all'inizio si rivelò un esperienza entusiasmante. Era affascinante entrare sempre più, giorno dopo giorno, in quel mondo misterioso che ti avvolgeva e che ti penetrava dentro come l'aria che respiravi, come una specie di fonte nutrizionale che ti permetteva di scoprire, ogni volta, capacità delle quali ignoravi persino l'esistenza. Era gratificante, dopo aver iniziato a lanciare i primi elementari incantesimi, rendersi conto di riuscire a compiere dei piccoli prodigi. Finalmente mi sentivo bene, sicuro di me stesso. Si stava insinuando in me una sensazione di potere, qualcosa che fino ad allora non avevo mai provato.

Con il passare del tempo, tutti questi ardori, questi entusiasmi, andarono via via spegnendosi. Apprendere le arti magiche significa rinnovare costantemente le proprie conoscenze, affinare le tecniche, e tutto ciò richiede grande forza di volontà e costanza. Ma impegno continuo e i tempi lunghi di apprendimento mettevano a dura prova anche la pazienza dei più tenaci. Non voglio con questo dire che mi trovassi male, tutt'altro, avevo pur sempre un tetto e del cibo assicurato. Ero riuscito a farmi pure qualche amico, non tanti a dire il vero, certo nessuno di loro faceva parte di uno o dell'altro gruppetto di signorotti, i quali già si snobbavano tra di loro, e nei miei confronti avevano modi e sguardi di disprezzo, forse perché si capiva subito, già dai miei vestiti, che non avevo il becco di un quattrino. Comunque Don era sempre presente con la parola giusta detta al momento giusto.

Don si dimostrò, non solo un ottimo insegnante, ma soprattutto un grande amico, fino in fondo. Erano già tre anni che mi trovavo a Torre Incantata quando Don si ammalò e, dopo poco tempo, morì. Quella fu l'ennesima doccia fredda per me. Mi venne a mancare improvvisamente l'unico sostegno a mia disposizione, mi ritrovai quindi nuovamente solo e questo mi portò in breve tempo ad uno stato di sconforto totale"

"Avresti dovuto aspettartelo, sapevi benissimo che era ormai molto in là con gli anni e che ben presto ti avrebbe dovuto lasciare!" lo interruppe Tommaso che aveva assunto un espressione tra la compassione ed il rimprovero "Invece di lasciarti andare avresti dovuto farti forza, cercando magari l'aiuto di qualcun altro. Non credi?"

"Ha perfettamente ragione, infatti, è proprio ciò che feci anzi, a dire il vero non fu proprio una mia scelta ma comunque, dopo qualche tempo incominciai a stringere amicizia con un ragazzo della mia età, anche lui allievo della scuola. Fu lui ad avvicinarsi a me, non ricordo in quale occasione, ma in breve tempo tra di noi si creò un legame che, a quel tempo, avrei potuto definire inossidabile e sincero. Se solo avessi saputo dove mi avrebbe portato.

Il nome di questo nuovo amico era Malakìa. Un ragazzo alto e robusto con capelli cortissimi e scuri, come i suoi occhi che sovrastavano un naso lungo ed una bocca con labbra sottili, il tutto ben piazzato in un viso ovale e magro. Originario di Lockiendill si era trasferito, appena quindicenne, ad Eliendall e, come me, era stato invitato ad entrare a Torre Incantata dal mago che poi era diventato il suo tutore. Era un tipo decisamente strano, solitario, che non legava quasi con nessuno. Ricordo che mi sorprese molto il fatto che avesse deciso di trovare in me un compagno, ma poi mi resi conto che su molte cose eravamo simili e quindi potevamo aiutarci a vicenda. Non era un tipo che si faceva notare per le sue particolari capacità, ma più passava il tempo e più mi accorgevo che in lui c'era qualcosa di veramente misterioso al quale non riuscivo a dare una risposta. Non riuscivo a spiegarmi come potesse essere sempre così attivo, sembrava che ne lo studio ne le attività fisiche andassero ad intaccare minimamente la sua forza, il suo fisico, la sua costituzione o la sua mente. Era sempre perfettamente riposato e qualsiasi cosa facesse non si stancava mai. Quando mi resi conto di questa particolarità di Malakìa cercai di darmi una risposta ma l'unica risposta, banale tra l'altro, fu che dormiva benissimo e che, avendo grandi doti di recupero energetico, un buon riposo nelle ore notturne gli dava la possibilità di affrontare la giornata senza problemi. Tutto questo mio ragionamento crollò quando, casualmente, venni a scoprire che la notte non dormiva mai!

Non ebbi il coraggio di affrontare il discorso con nessuno, nemmeno con lui, perché pensavo di violare troppo la sua privacy e questo avrebbe potuto mettere a rischio la nostra amicizia, anche se ormai consolidata, ed era una cosa che volevo assolutamente evitare. Per fortuna fu proprio Malakìa a risolvere quest'angustiante dilemma. Una sera, mentre ci trovavamo nel refettorio intenti a consumare la cena, seduti nel nostro solito posto in disparte e lontani da tutti, senza nemmeno sollevare il volto dal piatto mi disse: -" So benissimo ciò che ti ossessiona Elias "-.

Rimasi stupito da quell'affermazione ma lui non fece caso alla mia espressione e continuò.

-" Posso spiegarti ogni cosa. So di potermi fidare di te ma, nonostante ciò, mi devi assicurare che non parlerai con nessuno di quello che sentirai stasera "-.

-" Va bene, te lo prometto "- risposi quasi istintivamente.

-" No! Me lo devi giurare sulla cosa più cara che hai "- disse con tono secco alzando il viso e guardandomi fisso, con due occhi che non sembravano nemmeno i suoi ma quelli di un demone.

Esitai un attimo turbato dalla sua espressione, poi risposi -" D'accordo, te lo giuro su me stesso, è l'unica cosa che possiedo "-.

Fece un accenno di sorriso a quella mia affermazione che raddolcì la suo espressione cupa, sapeva comunque che ero sincero e che non l'avrei mai tradito.

-" Bene! "- affermò. Si guardò attorno per accertarsi che nessuno ci stesse ascoltando ed inizio a darmi le spiegazioni promesse.

Non sto a raccontarle per esteso ciò che mi disse, la cosa importante è che mi svelò il suo segreto e per la prima volta mi parlò dei MöG".

Tommaso guardò meravigliato il suo interlocutore.

"I MöG?! Cosa centrano i MöG? Le Caste dei MöG sono solo una leggenda", esclamò, "e poi, anche esistessero realmente, non hai mai sentito cosa dicono di loro?"

Elias si distese all'indietro, si appoggiò allo schienale della sedia su cui era seduto, le braccia distese in avanti con i palmi delle mani appoggiate al tavolo, la testa diritta con il viso e lo sguardo rivolto a Tommaso che rimaneva in attesa di chiarimenti.

"Magia nera.", esordì il giovane "di questo parla la gente pensando ai MöG, ma non è così. Lasci che le dia delle spiegazioni.

Come Lei ben sa, esistono vari tipi di energie, che vengono usati nei riti magici o, per meglio dire, un'unica energia che assume forme ed entità diverse. La più conosciuta forma d'energia è quella detta vitale, che scaturisce dai quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) e si trova in tutte le cose, in tutti gli esseri viventi. È l'energia più materiale e da noi la più usata per gli incantesimi. Esiste poi quella spirituale, una forma di energia derivata dalle anime e dagli esseri eletti, usata generalmente da Chierici e da chi pratica la magia bianca. Quella parte dell'energia che non riesce ad evolversi abbastanza per diventare spirituale, perché rimane attaccata alle cose reali, assume un'altra identità che noi conosciamo come oscura, usata nei riti di magia nera. Questa scaturisce da quei sentimenti terreni come l'odio, il rancore, la superbia, l'avarizia, l'invidia, la sete di potere e quant'altro spinga l'essere umano a commettere del male, dando origine ad una forza decisamente negativa e pericolosa. Oltre a queste tre forme d'energia conosciute, n'esiste una quarta, quasi del tutto ignorata dagli studiosi della materia, ed è quella che i MöG chiamano Kõmosç.

Quando un essere vivente muore, la sua anima si distacca dal corpo e la sua energia si trasforma da vitale a spirituale, ma questo passaggio ha bisogno di un aiuto, perché è un atto difficile, faticoso e doloroso. C'è bisogno di una forza particolare, atta a questo scopo, per superare quel travagliato momento e questa è Kõmosç.

I MöG quindi, come può capire, non hanno nulla a che fare con la magia nera, e questo era sufficiente per farmi vedere la cosa sotto un aspetto diverso. Non si trattava di andare incontro a cose oscure e pericolose, ma solo di scoprire un mondo sconosciuto, un qualcosa di cui non sapevo ancora nulla, e la mia curiosità era troppo forte per tirarmi indietro, e poi, Malakìa era mio amico, come potevo non fidarmi di lui. Quando mi propose di seguirlo non ebbi nessuna esitazione.

Non so se qualcuno rimase stupito e si chiese dove fossimo diretti, o se la nostra partenza non suscitò alcuna reazione, sta' di fatto che, all'alba di un giorno uguale a tanti altri, lasciammo Torre Incantata."


"Viaggiammo per alcuni giorni ed in fine, giungemmo in una zona collinosa. Dopo aver attraversato a piedi un boschetto di faggi, ci avvicinammo a delle grosse rocce biancastre che, dove terminavano gli alberi, si ergevano appoggiate al ripido pendio di un alto dosso ricoperto da un folto strato d'erba verdeggiante. Io seguivo a breve distanza Malakìa che, avvicinatosi ai due massi più grossi, si infilò in una stretta apertura esistente tra i due macigni quasi del tutto invisibile perché, in gran parte, occultata alla vista da cespugli ed erbacce. Quando mi affacciai a mia volta all'ingresso del pertugio, non riuscii più a vedere il mio compagno di viaggio. Il passaggio terminava dopo pochi metri e l'amico sembrava essersi volatilizzato nel nulla.

-" Ma cosa stai aspettando? Entra! "-

La voce di Malakìa fuoriuscì dal buco e sembrava provenire dall'interno di una grotta. Infatti, dopo essermi introdotto tra i massi , mi resi conto che solo a causa di un effetto ottico quello poteva sembrare un vicolo ceco, in realtà a destra si trovava un varco che si apriva su di una grotta naturale a pianta circolare che, ad occhio, misurava cinque o sei metri di diametro. Il pavimento, in solida roccia, scendeva leggermente da un lato e, proprio nella parte più bassa della sala, scavata nella parete si trovava un'altra apertura, illuminata parzialmente dalla luce che penetrava da una fessura, situata sulla volta del vano in cui ci trovavamo. Ci dirigemmo a questa nuova entrata e notai subito che si trattava di una vera porta, scavata da mano umana (forse), comunque non naturale come, del resto, era artificiale la lunga caverna che da essa, stretta e buia, scendeva a gradoni verso le profondità della terra. Malakìa accese una torcia, raccolta fra tante che si trovavano buttate a terra a lato della porta, quindi s'incamminò lungo il tunnel. Lo seguii a distanza ravvicinata, cercando di sfruttare la sua luce per evitare di mettere un piede in fallo e rischiare di cadere. Così c'inoltrammo nelle viscere della terra e durante la discesa, incominciai a riflettere assillato da mille dubbi, su ciò che stavo facendo. Quel luogo mi trasmetteva una strana sensazione che faceva salire un brivido lungo la schiena però, la davanti, c'era Kõmosç ed io volevo conoscere questa forza.

Malakìa mi aveva raccontato che appena iniziati gli studi a Torre Incantata, aveva riscontrato subito delle notevoli difficoltà, perché l'apprendimento richiedeva troppo sforzo e fatica tanto che, si era quasi rassegnato ad abbandonare tutto. Nel momento di maggior crisi fu avvicinato da uno della famiglia, già perché era così che definiva la casta dei MöG, una famiglia. Fu reso edotto della potenza della Kõmosç e ne rimase anche lui affascinato.

La Kõmosç ha una particolarità, quella di conferire alle persone che la usano e la controllano, la capacità di sopportare ogni tipo di dolore e di debellare ogni forma di fatica. A tale proposito Malakìa mi raccontò come, grazie a quest'energia, era riuscito a compiere cose prodigiose ed incredibili. Ad esempio un giorno, mentre attraversava un campo, era caduto in una buca non vista riportato la frattura di una gamba, grazie alla Kõmosç si era risistemato l'osso rotto da solo quindi, dopo aver steccato e fasciato l'arto, si era recato al più vicino villaggio camminando, zoppicante, per più di due ore, senza sentire il minimo dolore. Mi confidò inoltre che, vista la capacità di poter studiare ed esercitarsi continuamente senza alcuno sforzo e senza la necessità di riposare, era stato in grado negli anni trascorsi a Torre Incantata di sviluppare moltissimo le sue capacità, che a quel punto erano considerevolmente superiori a quel poco che mostrava all'interno della scuola, ovviamente per meglio celare il suo segreto.

Immerso com'ero da tutti questi pensieri, non mi accorsi nemmeno di essere giunto alla fine di quel buio corridoio. Entrammo in una stanza di forma cubica di circa tre metri di lato, illuminata da due lampade ad olio che emanavano una luce fioca, una posta sopra l'uscio che ci stava di fronte e che si presentava ben chiuso da una porta di legno rinforzata da vari inserti di ferro e dall'aria certamente robusta. La seconda lampada si trovava sopra l'entrata da cui eravamo appena giunti, che improvvisamente si chiuse alle nostre spalle con una porta uguale all'altra. Ci trovavamo prigionieri in una cella completamente spoglia da mobilio, con i due soli accessi posti in modo simmetrico l'uno di fronte all'altro saldamente sbarrati, come ebbi modo di costatare subito.

-" Ohb sodei? Mosaj comoloscid! (Ohb sodei? Mosaj comoloscid! ) "-.

La voce spettrale e cavernosa proveniva dall'alto, da un vano che si trovava sicuramente sopra di noi. Alzai la testa e, osservando il soffitto. Notai dei fori larghi come un ditale che formavano una sorta di griglia, non abbastanza grandi da lasciare intravedere qualcosa di ciò che si trovava al di sopra. Suppongo che anche dall'altra parte la visuale sulla stanza non fosse un granché, altrimenti le guardie avrebbero riconosciuto Malakìa, il quale non si scompose e rispose alla richiesta di identificarci.

-" Soda u mool od Tølone MöG Ðaçroes, Stablo. ( Soda u mool od Tølone MöG Ðaçroes, Stablo. ) "-.

Al tempo non conoscevo ancora la lingua parlata dai MöG, quindi non fui in grado di capire il senso della frase che diceva così 'Sono un figlio di Tolone MöG, Stablo'. Una frase che conteneva elementi importantissimi, dei quali sarei venuto a conoscenza da lì a poco, che avrebbero condizionato per lungo tempo la mia vita. La prima cosa riguardava la consuetudine di Malakìa di parlare della Casta dei MöG nei termini di Famiglia. Il suo non era un amichevole modo di dire, come credevo io, ma in realtà rispecchiava l'effettiva struttura gerarchica instaurata all'interno delle Caste. Un vero regime patriarcale , con al vertice il capo denominato Padre seguito da una lunga schiera di seguaci o Prole, che a partire dal Primogenito, il braccio destro, andava a scendere in forma piramidale fino ai figliocci e figliastri di ultimo rango. Ovviamente non vi era un reale legame di parentela, ma quest'idea di famiglia, dava una sensazione forte di unione, era quindi un espediente eccezionalmente efficace adottato dalle persone al comando per garantirsi fedeltà dai subalterni. A conferma del legame instaurato all'interno della casta, vi era il secondo elemento celato nella risposta di Malakìa alle guardie. Per farsi riconoscere non aveva usato il suo nome ma si era presentato come Stablo, questo perché tutti gli adepti dovevano rinunciare al proprio nome per riceverne un altro dal loro nuovo padre ed entrare a far parte in modo definitivo della famiglia. Era questa una rinuncia totale al passato, ai vecchi affetti alle amicizie, significava buttare tutto alle spalle e rifarsi una nuova esistenza. Un segno di sottomissione e di assoluta devozione alla nuova istituzione. In quel mondo Malakìa era conosciuto come Stablo, ed anch'io mi sarei dovuto abituare a chiamarlo così.

Dal soffitto non venne nessuna risposta, ma si sentirono i rumori degli ingranaggi del congegno di chiusura della porta di fronte a noi che si muovevano. Improvvisamente la porta si aprì da sola, forse tramite un meccanismo, mostrandoci un corridoio illuminato da lampade ad olio. Lo percorremmo e quasi subito, sbucammo sotto un porticato con il soffitto con volta a croce sorretto da una fila di robuste colonne.

Oltrepassate le colonne che ci stavano di fronte, mi accorsi che il porticato percorreva tutto il perimetro circolare dello spazio in cui ci trovavamo , una specie di piazzetta con tanto di fontana monumentale posta al centro. Mi diedi un occhiata in giro e notai che vi erano altri corridoi, come quello da noi percorso, che si diramavano in varie direzioni da sotto il porticato, vi erano anche alcune porte e finestre. Alzai gli occhi convinto di vedere le nude rocce di quel enorme caverna ma, invece, con sorpresa vidi che le pareti erano lavorate e scavate e si presentavano come facciate di edifici, alti tre piani, con finestre che lasciavano intravedere stanze illuminate. Sembrava di essere nel chiostro di un qualche convento. Un bel posto, con quei palazzi a farne da cornice, attaccati l'uno all'altro e diversi tra loro solo per decorazioni e forme architettoniche, se non fosse stato per la mancanza del cielo sopra di noi sostituito dal soffitto della grotta, che conferiva all'ambiente un aspetto inquietante. L'illuminazione era garantita da delle grosse lampade ad olio poste sulle pareti degli edifici, poco sopra gli archi del colonnato.

Tecnicamente non so spiegare come funzionasse il riciclo d'aria in quel posto, sicuramente era molto efficiente, infatti, si respirava benissimo e non si percepivano odori particolari. Nemmeno il fumo delle lampade dava fastidio e si stentava a credere di trovarsi parecchi metri sotto terra.

Malakìa, o meglio, Stablo mi fece cenno di seguirlo e si avviò verso destra, in direzione dell'unico edificio che si differenziava in modo evidente da tutti gli altri; più che un abitazione sembrava un tempio, con delle finestre alte e strette come dei tagli verticali nella pietra, anche il porticato il quel punto cambiava forma e, al posto di due archi a tutto sesto, vi era un unico arco a sesto acuto che raggiungeva l'altezza del secondo piano.

Mentre ci dirigevamo in quella direzione, notai che non c'era molta animazione e, le poche persone presenti nei dintorni, non prestavano alcuna attenzione a noi.

-" Quante persone vivono qui? "- chiesi a Stablo

-" Un centinaio, forse duecento, non conosco il numero esatto degli appartenenti. "- mi rispose, ed io " Ma dove sono tutti?! "-

Non si scompose e disse -" È difficile trovare molta gente qui, i fratelli si riuniscono tutti solo in occasione di cerimonie molto importanti. Probabilmente ora sono fuori per impegnati nei loro lavori, anche se in genere le nostre attività si svolgono di sera o di notte "-.

Non feci alcuna osservazione alle risposte di Stablo, mi limitai invece ad osservare le persone lì attorno. Forse mi aspettavo di vedere qualcosa di insolito, in realtà vidi solo persone normali che non mostravano nulla di particolare, indossavano abiti normali, nessuna divisa o stemma che potesse distinguerli dalla gente comune. Notai però che tutti erano armati: chi con una spada o una daga, con un arco o una balestra, comunque erano tutti forniti di attrezzatura bellica. Ebbi quasi l'impressione di trovarmi in una guarnigione, e la cosa mi diede molto fastidio. Anch'io sapevo maneggiare una spada, ma fino ad allora mi ero limitato a portarmi appresso un pugnale, più per giocarci che per altro, e non mi andava l'idea di dovermi armare ulteriormente, qualsiasi fosse stata la ragione.

Oltrepassato l'arco appuntito del colonnato, incominciammo a salire una larga ma breve scalinata che introduceva nel palazzo. L'ambiente all'interno si mostrava decisamente diverso dalla facciata esterna: i gradini come le pareti erano in marmo bianco che, illuminati dalle lampade appese al soffitto, anch'esso in marmo scolpito a cassettoni, ne amplificavano la luce. Le pareti erano riccamente decorate e la scala terminava con un pianerottolo sul quale si ergeva un portone di legno cesellato; su questo era incisa la frase 'RISPETTO E DEVOZIONE AL PADRE '. Imparai in seguito che quello era l'inizio dell'atto di obbedienza conosciuto e recitato da tutti gli affiliati: Rispetto e devozione al Padre che ti ha accolto nella sua casa e per Sua divina bontà ti ha sollevato da ogni fatica e dolore, rispetto e devozione a colui che ti guida con saggezza tramite i Suoi figli e tuoi fratelli maggiori a cui tu devi assoluta obbedienza. Dinanzi a quella magnifica porta, vi erano due guardie armate di lance, disposte una di fianco all'altra in modo da bloccare il passaggio. Indossavano un armatura argentata, in parte coperta dal lungo mantello bianco, rifinito da una bordatura azzurra, che scendeva dalle spalle fino a toccare quasi terra. I mantelli non portavano alcuna scritta o simbolo, come del resto le armature, che si presentavano lisce e lucenti come gli elmi indossati che, con una sorta di visiera, ricoprivano quasi per intero il viso dei due e, solo da due piccole fessure, si intravedevano gli occhi ed il naso. Stablo fece un cenno con la mano ai due armigeri e questi, senza contraccambiare il saluto, si spostarono lateralmente aprendo i battenti del portone.

Davanti a noi apparve, in tutta la sua magnificenza, una grande sala rettangolare con le pareti ricoperte da stupendi arazzi e dall'arredamento sontuoso. La attraversammo per l'intera lunghezza prima di giungere al cospetto di Tolone MöG Ðaçroes, il Padre.

Era un omone grande e grosso, completamente calvo ma con due enormi baffi che gli scendevano a treccia, ai lati della bocca. Se ne stava lì, avvolto in un mantello blu notte, seduto scompostamente su di un enorme poltrona collocata, come fosse un trono, su di una piattaforma alta più di tre scalini rispetto al pavimento. Ai lati del seggio si trovavano circa una decina di persone, i più in piedi, tra cui alcune guardie agghindate come le precedenti.

Fra tutti spiccava la figura alta e magra di un uomo dai lunghi capelli neri, legati a coda di cavallo, di età imprecisata, carnagione scura ed occhi sottili, un viso severo ed un espressione che incuteva paura. Indossava abiti signorili, ben lavorati e ottimamente rifiniti che, però, non portavano alcun emblema della Casta. Oltre alla posizione, si trovava infatti alla destra di Tolone MöG Ðaçroes, bastava l'aspetto per far intuire che si trattava di una persona di grande importanza ed un ottima collocazione nella scala gerarchica. Il suo nome era Hartnø ed era quello che in gergo MöG era definito moggiaytup (moggiaytup), il Primogenito, in altre parole il braccio destro di Tolone.

Da quel comitato di benvenuto, mi resi subito conto che il nostro arrivo non era inatteso.

Tra Stablo ed i presenti iniziò un lungo rituale, fatto di convenevoli e saluti, al termine del quale Tolone iniziò a parlare: il discorso era diretto a me e non fu molto lungo ma, il Padre, non mi parlò mai direttamente ma sempre tramite Hartnø che, simultaneamente, traduceva il tutto in una lingua più comprensibile. Mi disse che Stablo gli aveva parlato a lungo di me, e si era molto prodigato per farmi presentare al suo cospetto e per essere ammesso nella famiglia. Mi rese edotto di quanto era difficile la vita in quel mondo, e di tutto l'impegno e la devozione che mi sarebbe stata richiesta. Infine terminò il suo monologo dicendo -" Non sto a chiederti se sei convinto di ciò che stai per fare, se pensi di intraprendere la strada giusta: non saresti qui se non fosse così. Ti affido quindi alla custodia del tuo nuovo fratello maggiore Stablo, che ti accompagnerà nelle stanze degli impazienti "-.

Detto ciò fece un cenno per congedarci. Stablo contraccambiò il saluto, e mi lanciò uno sguardo fulminate dal quale dedussi di dover fare altrettanto. Lo imitai, così ci congedammo da tutti i presenti e ci allontanammo.

-" Cosa sono le stanze degli impazienti "-, chiesi all'amico, mentre scendevamo la scalinata dell'ingresso.

-" È il tuo alloggio momentaneo "- rispose, dopo di che non ebbi modo di fargli dire altro.

Mi condusse in uno degli edifici che circondavano la pizzetta con la fontana: salimmo fino all'ultimo piano e qui, mi fece entrare in una stanza.

-" Aspetta qui! "- mi disse, quindi se ne andò chiudendosi la porta alle spalle: sentii la chiave girare più volte nella serratura.

Il tuo fratello superiore, così Hartnø, con la sua voce profonda e severa, aveva apostrofato Stablo, traducendo il pensiero di Tolone. Da quel momento, il mio compagno di avventura, aveva cambiato il suo atteggiamento nei miei confronti: si era staccato molto da me assumendo un aria da istruttore, da maestro, più che da amico. Il mio apprendistato era iniziato. Ne ebbi la certezza quando riuscii a dare una spiegazione al perché quella era una delle stanze dette degli impazienti.

Si trattava di un vano di circa tre metri per quattro con una finestra, posta di fronte alla porta d'entrata, che dava sulla pizza sottostante e che risultò essere saldamente sigillata. L'arredamento era ridotto all'essenziale, con un letto appoggiato alla parete di destra ed un tavolo, con relativa sedia, attaccato alla parete opposta: in un angolo, celato da una piccola divisoria, uno spazio ristretto era adibito a bagno. Rimasi chiuso in quella sorta di prigione per cinque giorni, senza poter mai uscire e senza avere nessun tipo di contatto con altre persone. Il cibo mi veniva dato attraverso un feritoia che si apriva nella parete, proprio sopra il tavolo dove le vivande venivano poste direttamente. Rimasi cinque giorni senza far nulla, senza che qualcuno si degnasse di darmi la benché minima spiegazione di quello che accadeva. Quell'inattività era veramente deleteria e la mia pazienza fu messa a dura prova, ma era proprio questo lo scopo di quell'atipica quarantena: sottoporre il candidato ad una pressione psicologica estrema al fine di tastarne le capacità psichiche e la forza di volontà.

Questa fu la prima di una serie di prove che dovetti superare per l'ammissione ufficiale alla Casta: non sto a raccontarle di tutte le altre, ma basti questa ad esempio delle difficoltà sostenute.

Dopo un paio di mesi, con una cerimonia alquanto anonima e priva di sfarzi, entrai a pieno merito a far parte della famiglia e, lo stesso Tolone MöG Ðaçroes in persona, mi conferì il mio nuovo nome: Faßlok, che in lingua MöG significa luce tenue o fiammella (quasi un presagio per il futuro). Giunto a questo punto ero pronto ad incominciare il mio tirocinio di apprendista della conoscenza MöG, ovvero l'acquisizione ed il controllo della Kõmosç. Imparai che era solo questo il grande ed unico potere dei MöG e, ad eccezione di qualche individuo avente per sua natura doti particolari, gli adepti erano tutti delle persone dalle caratteristiche comuni.

Non voglio minimizzare le capacità dei MöG, tutt'altro, devo sottolineare invece che l'acquisizione e il controllo della Kõmosç era un elaboratissimo e ricercato rituale, che costava molto impegno e concentrazione, degno delle più tecniche e perfezionate arti magiche, con risultati inimmaginabili. Rimane inoltre il fatto, e non sono solo dicerie, che le Caste erano, e sono a tutt'oggi, dei gruppi armati capaci di fronteggiare intere legioni di militari, anche dei più ben addestrati eserciti.

Le Caste, già perché ce ne sono più di una.

Un giorno chiesi al vecchio Koçhot, un mio insegnante -" Ho sentito dire che esistono altre Caste, oltre la nostra. Ma chi sono e dove si trovano? E poi esiste un vero legame tra noi e loro, le loro capacità sono forse uguali alle nostre? "-

Mi rispose -" Kõmosç è l'energia che accomuna tutte le caste dei MöG, ed è questa la nostra forza. Devi sapere che furono quattro abilissimi maghi a scoprire la Kõmosç, e furono sempre loro che ne approfondirono la conoscenza, creando e perfezionando il metodo che tuttora usiamo per dominare questa Energia. Quando ebbero acquisito una famigliarità sufficiente con il nuovo potere, decisero di insegnare ad altri le loro conoscenze ma di farlo separatamente, ognuno con i propri allievi. Prima di dividersi dettarono delle regole comuni, inerenti alla fondazione ed alla struttura delle quattro scuole, giurando solennemente di rispettarle rigorosamente. Da questo si può desumere che l'impostazione gerarchica e i metodi di gestione e di insegnamento delle diverse Caste è pressoché identico. I quattro fondatori vollero rimanere fedeli alle loro origini, ed alla loro magia legata alla materia, fondarono quindi le loro scuole in modo che queste fossero vincolate ai quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. In base alle regole imposte, le scuole vennero denominate Caste e loro furono i primi Padri ed i discepoli i Figli. Per suggellare ulteriormente la loro fratellanza, assunsero il nome comune di MöG, che come sai nella lingua che noi usiamo significa UNO.

La nostra Casta, come avrai intuito, è quella legata all'elemento terra, per questo ci troviamo qua sotto. Non so dirti l'ubicazione delle altre Caste, solo Tolone MöG Ðaçroes e Hartnø MöG Ðaçroes# ne sono a conoscenza, e con loro gli altri Padri e Primogeniti. Posso però darti delle indicazioni: la Casta dell'elemento cielo si trova nascosta tra le vette di un alto gruppo montuoso, mentre quella dell'elemento fuoco è collocata nel bel mezzo di una zona vulcanica attiva. Che la Casta dell'elemento acqua sia a contatto con questo ambiente e scontato, ma su di essa girano diverse voci discordanti, c'è chi afferma sia su di un isola in mezzo al mare, chi nei pressi di un grande lago. Questo è tutto ciò che conosco delle Caste, posso solo aggiungere che uno dei altri Padri si chiama Simøn MöG Fenåtry "-.

Purtroppo, durante il periodo della mia presenza nelle Tana (così era scherzosamente chiamato quel rifugio segreto, che in realtà portava il cognome di famiglia, ÐAÇROES), io non ebbi modo di scoprire altre cose a riguardo delle Caste".


"Trascorsero alcuni mesi, nei quali mi dedicai con impegno all'apprendimento teorico del metodo di ricezione e controllo della Kõmosç, tecnica denominata Kõmosintesi, ed in fine giunse il grande giorno. Finalmente era arrivato il momento di venire a contatto reale con questa nuova Energia.

Partimmo di buon mattino, prima del sorgere del sole, e viaggiammo tutto il giorno e la notte per giungere il mattino seguente, poco prima di mezzogiorno, nelle città di Ordenfall, nelle Baronie Settentrionali. Per quel viaggio eravamo partiti in cinque: io, due novellini che come me erano alla loro prima esperienza e due insegnanti. Questi ultimi si chiamavano Maxing e Ðolinder, i due apprendisti Sebeden e Furåtter. Viaggiavamo a bordo di uno sgangherato carretto, trainato da un altrettanto malconcio ronzino che, comunque, dimostrava di aver abbastanza forza per mantenere una buona andatura. Avevamo proprio la parvenza di un gruppo di poveracci del tutto innocui, cosa che ci dava la possibilità di muoverci senza dare molto nell'occhio, il che sembrava essere di vitale importanza, forse per non compromettere la segretezza del nostro clan.

Il carretto si fermò in un ampia via di uno dei sobborghi della città, proprio di fronte ad un grande palazzo in pietra grigia, alto quattro piani, con molte finestre ed un grande portone d'entrata posto nel bel mezzo della facciata anteriore.

-" Siamo arrivati! "-, disse Maxing, saltando giù dal mezzo di trasporto con un balzo felino, agevolato dalla sua corporatura: era infatti basso di statura e magro, aveva anche grandi baffi e capelli grigi che gli conferivano un età maggiore di quella reale.

I capelli corti erano l'unica cosa che aveva in comune con Ðolinder sebbene quelli di quest'ultimo fossero castani. La corporatura di uno era inversamente proporzionale a quella dell'altro, infatti, tanto più uno era magro quanto l'altro era corpulento e per l'altezza valeva la stessa cosa. Erano veramente una bella accoppiata.

-" Allora! Ci muoviamo!? "-, insistette Maxing cercando di spronarci quasi fossimo in ritardo ad un appuntamento.

-" Ma non andiamo a mangiare? È quasi ora di pranzo! "- disse Furåtter, un ragazzetto di circa un metro e settanta, magro, con carnagione scura e capelli lunghi e neri, molto rassomigliante all'altro allievo, quasi fossero stati realmente fratelli.

-" Non vi preoccupate di mangiare, vi attendono cose migliori del cibo "-, la frase di Ðolinder risuonò molto rassicurante soprattutto perché detta da lui, vista la mole.

Vi era molta agitazione al portone d'ingresso, gente che entrava ed usciva con un viavai contino. Chiesi a Maxing se era una cosa normale e come mai tanta gente veniva in quel posto, mi disse che si trattava di un ospedale, l'unico in città e quindi spesso sovraffollato.

-" Un ospedale?! Ma che ci andiamo a fare noi in un ospedale? "- dissi meravigliato.

-" Assistenza. Assistenza ai malati in fin di vita, ai moribondi insomma. Anche se il più delle volte ci occupiamo di quelli appena deceduti "-.

Guardai sbalordito Maxing, che mi aveva risposto con indifferenza, continuando a camminare in direzione dell'entrata. Poi, lentamente, incominciai a realizzare la cosa e mi resi conto che era più semplice e logica di quanto poteva sembrare. Durante il periodo di studio teorico sulla Kõmosintesi, mi avevano insegnato il suo funzionamento e come applicare quella tecnica, ma nessuno aveva mai accennato a dove era possibile trovare la Kõmosç. Tutte le magie per essere realizzate hanno bisogno, oltre ai rituali di concentrazione o invocazione, di elementi o luoghi idonei, con i quali o nei quali, vi siano le forze energetiche necessarie. Ebbene, se la Kõmosç è la forza che aiuta l'anima a separarsi dal corpo al momento del decesso, la cosa di cui necessitavano i MöG per il loro rituale, era la morte di un individuo. Un ospedale, visti i tempi che correvano, poteva garantire una gran quantità di materiale.

Maxing ci fece strada lungo i corridoi dell'istituto muovendosi con sicurezza e grande naturalezza, segno evidente che il posto gli era molto famigliare. Salimmo fino al secondo piano quindi, appena entrati in un grande stanza, la nostra guida si fermò e si rivolse a noi.

-" È meglio dividerci per dare meno nell'occhio. Voi andate da quella parte, io e Faßlok andiamo dall'altra "-.

Più che una stanza, quella in cui eravamo entrati, sembrava un lungo corridoio: l'unica porta d'accesso, sul cui uscio ci trovavamo, era collocata a metà di una delle due pareti lunghe mentre, sull'altra, vi erano alcune finestre. Su ognuno di questi due lati era collocata una fila di letti, disposti a breve distanza l'uno affianco all'altro. Ðolinder e i due ragazzi si diressero verso sinistra, io e Maxing, invece, percorremmo il corridoio, tra le due file di letti, in direzione opposta. Non riuscimmo a fare che qualche passo, e subito venimmo fermati da un dottore che, avvolto nel suo bianco camice, salutò cordialmente il mio insegnante.

-" È da un po' di tempo che non vi vedo, ma sono felice che siate ritornati. È bello che ci siano delle persone come voi, pronte a dire una parola di conforto a chi sta male, o una preghiera per chi ci ha lasciato. Fortunatamente abbiamo avuto un periodo in cui non sono stati registrati molti decessi ma, negli ultimi giorni, ci sono giunti dei casi veramente disperati. Laggiù potete trovare il corpo dell'ultimo deceduto, è spirato pochi minuti fa "-.

Maxing assunse un espressione addolorata e disse -" La ringrazio per l'accoglienza ma, se permette, sarebbe nostro desiderio portarci al capezzale di quel poveretto per dirgli una preghiera, prima che il corpo vengano portato via "-.

Il medico ci fece un gesto come ad invitarci a procedere e quindi si allontanò.

Ci dirigemmo verso il fondo della stanza dove si trovava il letto indicato, che era nascosto provvidenzialmente da un paravento, forse per celare quella macabra visione alla vista degli altri infermi. Probabilmente il poveretto non aveva parenti, perché non c'era nessuno li vicino. Ci avvicinammo al corpo inerte, che era avvolto in una strana penombra, dovuta al paravento che smorzava la già fioca luce che penetrava dalla vicina finestra socchiusa.

-" Bene incominciamo "-, fu l'unica istruzione che mi diede Maxing, non c'era nient'altro da aggiungere, era stato addestrato a sufficienza per sapere cosa fare.

Eravamo in una condizione ottimale, fuori dalla vista di occhi indiscreti. Comunque, anche se qualcuno ci avesse visto, la pratica della Kõmosintesi poteva essere interpretata come un semplice momento di raccoglimento in preghiera, cioè proprio quello che volevamo far credere: la Kõmosintesi non richiedeva una particolare manipolazione o formule da recitare ad alta voce, l'operatore appoggiava una mano sul soggetto carico d'energia, preferibilmente sulla testa o sul petto, e recitava mentalmente o al limite bisbigliando il rituale d'invocazione, proprio come un chierico avrebbe recitato un orazione.

Mi concentrai al massimo, cercando di rispettare alla lettera le procedure del rituale, quando, all'improvviso, le luci ed i colori attorno a me iniziarono a cambiare. La stanza si tinse di un verde scuro mentre le persone, che riuscivo a intravedere da alcune fessure del paravento, emanavano una luce bianca tendente per alcuni al giallo per altri all'azzurro. Il corpo del defunto era decisamente di colore giallastro, ma c'era un alone di un colore rosso vivo intenso che lo avvolgeva, non in modo statico ma a ondate, penetrando nel corpo in alcuni punti per poi esplodere vero l'esterno, come delle fiamme alimentate dal soffio discontinuo di un mantice. Grazie alla mia preparazione, riuscii a superare quasi subito quel momento di stupore, realizzai quindi che in realtà, non era avvenuto nessun cambiamento all'interno della stanza, era il rituale che stavo eseguendo che aveva portato il mio corpo ad uno stato di percezione molto elevata, e i miei occhi erano in grado di visualizzare i campi energetici presenti in quel posto. La mia attenzione venne concentrata tutta sull'alone rosso, che ora dal cadavere si stava espandendo verso Maxing, entrando in contatto con il suo campo energetico, avvolgendo da prima la mano che teneva appoggiata sul capo del morto, e di seguito il braccio ed il resto del suo corpo. Quella era la Kõmosç: il mio maestro aveva incominciato ad assimilare l'energia attirandola a se e, l'alone bianco che lo circondava, si stava lentamente colorando di rosso. Mi concentrai ulteriormente e continuai la sequenza del rituale. Vidi che lentamente l'alone rosso incominciava ad avvolgere anche la mia mano, che tenevo appoggiata sul petto dell'uomo, con una sensazione iniziale di freddo, seguita da un calore piacevole e rilassante. In poco tempo fui completamente avvolto dalla luce rossa e da una piacevole sensazione di benessere: improvvisamente la stanchezza del viaggio era sparita, la fame che aveva iniziato a farsi sentire era cessata di colpo e persino i vecchi acciacchi sembravano svaniti nel nulla. Ricordo che sentii il cuore battere all'impazzata e il sangue pulsare e scorrere veloce nelle vene. Poi, raggiunsi uno stato di calma e tranquillità mai provata, era come se stessi galleggiando nell'aria e il mio corpo non risentisse più dell'influenza della forza di gravità. In quello stato di pace idilliaca, persi del tutto la cognizione del tempo, fu Maxing a riportarmi alla realtà.

-" Faßlok! "-.

Il mio insegnante non aveva gridato il mio nome, anzi lo aveva detto a bassa voce, quasi un bisbiglio, ma questo era bastato a richiamare la mia attenzione. Vidi subito che aveva già terminato la Kõmosintesi, mi affrettai a fare altrettanto. Con mia grande meraviglia le piacevoli sensazioni provate di dissolsero quasi subito, ma l'effetto terapeutico sul mio corpo invece non svanì affatto. Mi sentivo in ottima forma, come rinato. Avrei voluto fare qualcosa di particolare per testare la mia nuova forma fisica: mi balenò in mente l'idea assurda, di caricarmi sulle spalle due o tre dei pazienti ricoverati nell'ospedale, e incominciare a correre su e giù per le scale, dal primo all'ultimo piano di quell'edificio. Per fortuna non lo feci. Ero felice, soddisfatto del risultato ottenuto. Avrei voluto ripetere subito quell'esperienza, e l'occasione non tardò ad arrivare. Ci si presentò davanti con le sembianze del dottore, lo stesso che ci aveva avvicinato in precedenza e che adesso ci invitava a seguirlo in un'altra stanza, al capezzale di un uomo ormai prossimo al decesso ma ancora vivo. Lo seguimmo senza esitazioni, era un occasione da non perdere.

Fu effettivamente qualcosa di eccezionale, con le stesse sensazioni vissute in precedenza, ma amplificate del doppio se non del triplo. La spiegazione di ciò è molto semplice. Non fu certo per merito nostro, noi ci limitammo ad assistere il moribondo e a ripetere , al momento del trapasso, esattamente le stesse operazioni fatte in precedenza. Questa volta però venimmo in contatto con una forza attiva, infatti, la Kõmosç in questo frangente era appena apparsa ed era nel massimo della sua attività non, come nel caso precedente, solo un rimasuglio in via di dissolvimento.

Per quel giorno furono le prime ed uniche esperienze, ma ci trattenemmo in città per altre due giornate, nelle quali vi fu modo di migliorare la tecnica di Kõmosintesi e di acquisire nuova forza e vigore."


"Nella Tana le giornate passavano tranquille, senza tante emozioni. Trascorrevo la maggior parte del tempo indaffarato nei lavori interni: erano detti cosi i lavori di pulizia e sistemazione delle strutture interne, nonché i lavori di cucina. Erano i Fratelli maggiori a svolgere le attività esterne alla ÐAÇRŒS, e anche se non sapevo ciò che in realtà facessero, ero consapevole che fossero loro a procurare il cibo ed il denaro per il nostro sostentamento. Ero convinto che svolgessero, in linea di massima, dei lavori saltuari presso le fattoria della zona o addirittura in qualche città, quindi i compensi non dovevano essere esorbitanti. Rimasi sconcertato, quando vidi, per puro caso, alcuni fratelli portare nella sala delle udienze (quella in cui avevo incontrato Tolone MöG Ðaçroes la prima volta) un ingente quantitativo di denaro e gioielli. Ero intento a sistemare alcune cose in una ripostiglio adiacente alla sale delle udienze e dalla porta comunicante tra le due stanze, che in quel momento era aperta, vidi tutta la scena, senza che nessuno si accorgesse della mia presenza, o almeno così credevo. I cinque MöG entrarono con passo veloce nella sala e si fermarono proprio nel centro, appoggiando il carico trasportato a terra. Avevano tutti un aria soddisfatta e si congratulavano tra loro del bottino racimolato, non riuscivo a vederli bene ne a sentire perfettamente ciò che dicevano, ma la parola bottino riuscii a capirla benissimo. Se ne andarono quasi subito e nella sala ritornò il silenzio. Avevo terminato il lavoro che dovevo fare e decisi di andare a curiosare. Uscii dal ripostiglio chiudendomi la porta alle spalle e mi diressi verso quel tesoro, non avevo mai visto tante monete e gioielli tutti assieme. Feci solo alcuni passi ed improvvisamente mi accorsi che, in fondo alla stanza, in una posizione fuori del mio campo visivo precedente, si trovava una altra persona: Hartnø! Se ne stava lì, in piedi, fermo, immobile e muto con le braccia conserte e lo sguardo fisso su di me. Non ebbi nemmeno il coraggio di guardalo negli occhi, cambiai direzione e mi avviai a grandi passi verso l'uscita; scappai via come un ragazzino scoperto a rubare la marmellata.

Il giorno dopo venni convocato a rapporto dal Primogenito. Cercai di affrontare la cosa con la maggio calma possibile, in fondo non avevo fatto niente di male, non avevo rubato nulla ne avevo parlato con nessuno di ciò che avevo visto, quindi che cosa dovevo temere? Quella convocazione, comunque, non mi diceva nulla di buono. Quando entrai nello studio di Hartnø, lo trovi seduto dietro la sua scrivania, immerso tra una quantità innumerevole di libri, impegnato a scrivere qualcosa su di un voluminoso quaderno. Senza nemmeno alzare il viso dal tavolo di lavoro, mi disse di accomodarmi. Mi avvicinai ad una sedia posta davanti alla scrivania e mi misi a sedere. Notai che la libreria alle spalle del Fratello maggiore, era riempita di documenti e raccoglitori traboccanti di fogli, ed ebbi la strana sensazione, di trovarmi più in un archivio che in uno studio. Terminato di scrivere, Hartnø si alzò in piedi, senza però staccare lo sguardo dal foglio, quasi a voler ricontrollare ciò che aveva scritto, prima di dedicarsi ad altro. Infine alzò gli occhi e mi fissò.

-" Bene, Faßlok "-, esordì, -" è da molto ormai che fai parte di questa nostra Famiglia, ed è ormai tempo che tu accresca le tue conoscenze e progredisca ulteriormente, in modo da acquisire una tua indipendenza. Ciò non significa un distacco da Noi, ma maggiore libertà di movimento che, però, comporta anche maggiori responsabilità. Quanto è accaduto ieri non è stato un caso, io non credo nella casualità, era invece un chiaro segnale. Devi apprendere nuove cose, nuove verità sulla Kõmosç e sulle attività della Casta. Penso che anche tu sia ansioso di saperne di più "-.

Feci un movimento col capo in segno di assenso, fu quasi un gesto involontario, una reazione spontanea forse dovuta allo stato di rilassamento, acquisito dopo aver capito che quel colloquio sarebbe stato più positivo del previsto, o forse dovuta proprio al fatto ero veramente impaziente di imparare cose nuove.

Hartnø si spostò da dietro la scrivania e si piazzò proprio di fronte a me, ad un passo di distanza, fissandomi con quello sguardo agghiacciante e l'espressione severa.

-" Per questa fase di apprendimento, ho pensato di affidarti ad un solo insegnante, che ti seguirà passo a passo fino alla tua completa istruzione. Per fare ciò ho scelto una persona che ti conosce bene, e che potrà aiutarti molto "-.

Sentii la pota alle mie spalle, aprirsi e richiudersi: qualcuno era entrato nella stanza. Mi girai per vedere di chi si trattasse e rimasi meravigliato nel rivedere un vecchio amico, Stablo! Si avvicinò, salutò Hartnø e quindi si rivolse a me.

-" Allora Foßlok, è da molto che non ci si vede "-.

Mi alzai e abbracciai il mio nuovo maestro, che contraccambiò il saluto. Era veramente tanto tempo che non lo vedevo, più o meno dal giorno della cerimonia d'ammissione ufficiale alla Casta. Era contento che fosse proprio lui, a dovermi accompagnare nell'ultimo periodo della mia istruzione. Mi ero sempre fidato di Stablo. Il colloquio con Hartnø era praticamente terminato, tutto ciò che dicemmo in seguito furono solo frasi fatte, banalità e cose senza importanza. Ciò che importava, era che avevo ritrovato un amico e che, la situazione di stallo in cui mi trovavo, finalmente si stava sbloccando.

Stablo fu molto diretto nel darmi istruzioni sul da farsi, mi disse che non avevo bisogno di nessuna lezione teorica, sapevo già tutto quello che c'era da sapere sulle procedure della Kõmosintesi. Quello che dovevo imparare lo avrei appreso direttamente con la pratica. Gli chiesi perché non potevo saperne di più e lui mi rispose:

-" Credimi , ci sono cose che è meglio provare di persona. Sarebbe molto difficile ora per te, accettare le spiegazioni che potrei darti verbalmente, ma ti assicuro che dopo aver fatto le esperienze, verso le quali ti sto conducendo, non avrai nemmeno bisogno di me per capire tutto "-.

Non potevo accettare di dover aspettare ancora chissà quanto tempo, per risolvere i miei dilemmi, ed insistetti ulteriormente, ma Stablo si celava dietro un muro di silenzio ed intanto io fremevo per l'impazienza.

Due giorni dopo il nostro incontro, nel tardo pomeriggio, Stablo mi si avvicinò e disse:

-" È per questa sera! "-

Lo guardai con un espressione stupita non capendo di cosa stesse parlando.

Continuò -" Passo a prenderti subito dopo cena, fatti trovare pronto "-.

Finalmente realizzai, era giunto il momento di entrare in azione, -" Cosa mi devo portare? "-

-"Niente, fatti solo trovare pronto per uscire "-

-" D'accordo, ma dove dobbiamo andare? "-, quest'ultima domanda non ebbe risposta.

Stablo si allontanò, ed io ero troppo entusiasta di quella notizia, per volerlo trattenere con altre domande.

Come sempre, quando stai aspettando qualcosa d'importante, il tempo sembra non passare mai, ed anche quella fu una lunga attesa. Infine venne l'ora indicata e Stablo si presentò, puntuale, alla porta della mia stanza. Non disse nulla, ed io ero troppo emozionato per incominciare a tormentarlo con le mie solite domande, mi limitai a seguirlo. Raggiungemmo altri quattro Fratelli e, con loro, ci allontanammo dalla Tana: Stablo con tre di loro a cavallo, io ed il quarto a bordo di un carro trainato da un robusto equino. Viaggiammo nell'oscurità della notte, rischiarata dalla tenue luce di uno spicchio di luna calante, per alcune ore. Raggiungemmo una radura ai margini di un boschetto, dove c'era un'altra persona ad aspettarci.

-" Sono dietro quel dosso. Stanno tutti dormendo "- ci disse l'uomo appiedato, indicando una collinetta il lontananza.

Scendemmo a terra e legammo i cavalli al ramo di un albero, dove era già assicurato il destriero del Fratello che ci aveva preceduto.

Dal carro vennero scaricate e distribuite delle strane cose. Solo quando me ne fu affidata una mi accorsi che si trattava di una sorta d'indumento: una pelle di lupo la cui testa andava a rivestire un elmo che, calzato, faceva in modo che il naso ed il muso dell'animale, denti compresi, si trovassero, a mo' di visiera, sulla fronte della persona che lo indossava, poco sopra gli occhi. Il resto della pelle scendeva sulla schiena e veniva assicurata con dei lacci, al collo ed ai fianchi della persona che la indossava. Prima di coprirci con le pelli, ci colorammo la faccia di nero e di rosso e terminammo la vestizione con dei guanti, senza dita, con il dorso ricoperto da un folto pelo lungo. Non riuscivo a capire a che cosa potesse servire quella mascherata ma, memore di ciò che mi aveva detto Stablo, ovvero che certe cose era meglio provarle che spiegarle, imitai i miei compagni senza commenti.

Ad un tratto si avvicinò un fratello che mi porse uno spadone. Non lo presi, ma rimasi fermo, sbalordito. In mio aiuto venne Stablo.

-" Forse è meglio se usa questa "-, disse al compagno mostrando una spada corta, che mi mise in mano quasi a forza.

-" Sicuramente per te è più comoda da usare! "-, disse con un sorriso forzato, -" Vedi di usarla! Non puoi più tirarti indietro "-, aggiunse a bassa voce, forse per non farsi sentire dall'altro MöG. Il suo viso si era fatto serio ed i suoi occhi, mi fissavano in un modo tale da farmi venire i brividi.

Finiti i preparativi ci avviammo, armi sguainate, in direzione del dosso. Ne raggiungemmo il culmine procedendo per l'ultimo tratto a carponi, per evitare che qualcuno dall'altra parte potesse scorgerci. Dall'alto della cima, potevamo vedere i quattro sventurati, predestinati a divenire le vittime del nostro premeditato atto criminoso: ormai ne ero certo e ben cosciente, ciò che avevamo organizzato non era altro che un massacro. Durante il breve tratto d'avvicinamento, avevo tentato in vario modo di dare una spiegazione plausibile all'atto che ci prestavamo a compiere, ma senza alcun risultato. Ero agitato e confuso, mi rendevo conto solo che ormai la situazione mi era sfuggita di mano.

I quattro ignari dormivano a cielo sereno, distesi attorno ad un falò. Un carro con poca merce a bordo si trovava poco distante, ed i loro cavalli erano legati con le briglie ad una delle ruote.

Uno dei miei compagni attirò la nostra attenzione su di lui con un gesto, poi disse ad alta voce -" Ora! "-, e con uno scatto si alzò in piedi imitato dagli altri. Feci altrettanto e li seguii a ruota, correndo all'impazzata giù per il pendio. Piombammo sui dormienti gridando a squarciagola, dando loro solo il tempo di rendersi conto di ciò che succedeva senza poter reagire. Certo uno di loro riuscì, forse per istinto, ad impugnare la propria arma, ma fu falciato dalle nostre spade prima di riuscire ad usarla.

L'azione fu velocissima ed il risultato, del tutto scontato, aveva la parvenza di una vera carneficina. Ero veramente sconvolto da tutto ciò ma continuai, nonostante tutto, a seguire i miei fratelli. Radunammo i corpi inermi e li accatastammo l'uno sopra l'altro, in una macabra pira, quindi ci disponemmo attorno in cerchio. Incominciammo il rituale della Kõmosintesi e, l'effetto che ne ottenni, fu veramente sconvolgente.

Quando iniziai a visualizzare i campi di energia, vidi che la Kõmosç si espandeva in modo impressionante, con enormi vampate rosse simili a fiamme di un grosso rogo. Si innalzavano dai corpi fino a raggiungere l'altezza di cinque sei metri. Le onde di energia oltrepassavano, avvolgendoli, i nostri corpi, risultava cosi inutile e superfluo il contatto fisico con i cadaveri per poter assimilare quella forza. Le lascio immaginare quale fu la carica energetica che ricevetti. Venni stravolto da sensazioni allucinanti che, non solo mi sollevarono dai dolori fisici, ma anche da tutti i rimorsi, dai dubbi, dalle ansie e dalle preoccupazioni. Quando Stablo si avvicinò chiedendomi come mi sentissi, gli risposi ancora intontito -" Sto bene... benissimo "-.

-" Che ne pensi di ciò che è accaduto questa notte? Dei morti intendo dire! "-.

Lo guardai con aria indifferente: -" Sinceramente, non me ne importa niente! "-.

Non rispose ma sorrise: era quello che voleva sentirsi dire."


"Nei tre giorni successivi a quella sconcertante nottata, non ebbi alcun modo di contattare Stablo, il quale, però, si fece vivo il quarto giorno, tranquillo e rilassato come sempre.

-" Come stai Faßlok? Tutto bene? "-

-" Tutto bene Stablo; avrei voluto vederti prima però. Qualche giorno fa mi saresti stato d'aiuto per risolvere alcuni dubbi che avevo, ma ormai..."-

-" ... ormai ai trovato da solo le spiegazioni che cercavi"-.

Aveva perfettamente ragione, le cose mi apparivano già più chiare e, anche l'uccisione di quelle persone, aveva iniziato ad avere un senso. Non si era trattato di un semplice atto di brigantaggio: certo, in seguito avevamo provveduto ad alleggerire i corpi inermi di tutto il denaro e degli oggetti di valore in loro possesso e, trattandosi probabilmente di mercanti in viaggio di ritorno da qualche fiera, il malloppo racimolato fu notevole. Ma ancora una volta la soluzione era nella Kõmosç.

La Kõmosç si manifesta al massimo del suo potere solo alla presenza di morti violente e inattese. Questo accade perché, in una persona colta da morte improvvisa, lo spirito non è preparato al distacco dal corpo fisico e necessita, quindi, di un'enorme forza, per superare questo trauma. Tutt'altra cosa, paragonata all'energia che si crea in presenza di ammalati prossimi alla fine, ed a questo ormai rassegnati. Ecco perché eravamo piombati su quei poveretti gridando a squarciagola. Avevamo dato loro solo il tempo di rendersi conto che la fine era imminente ed inevitabile: la condizione ideale, l'unica, per sfruttare appieno le potenzialità della Kõmosç.

Finalmente ero venuto a conoscenza di nuovi elementi, sufficienti a chiarirmi ulteriori cose: ad esempio, ora sapevo da dove proveniva il denaro e i gioielli che avevo visto portare nella sala delle udienze e che i Fratelli avevano definito bottino. Risultava palese che tutto il ricavato delle scorribande, effettuate dagli adepti, veniva in seguito portato ad Hartnø che, in veste di tesoriere, avrebbe provveduto a metterlo al sicuro nelle casse della Casta. Ero venuto a conoscenza inoltre, che i MöG non compivano questi agguati frequentemente, ma solo quando ve ne era necessità ed in modo mirato, così da garantirsi sempre, oltre ad una fonte energetica rigenerante, un sicuro e consistente guadagno. Mi era chiaro anche l'uso di quel strano travestimento che avevamo usato: mascherarsi da lupi risultava essere un valido espediente per confondere le idee ad eventuali superstiti. Era già successo che persone in preda al panico vaneggiassero, raccontando di fantomatici uomini-lupo che li avevano assaliti. Storie che risultavano assurde e poco attendibili, che davano modo alla Casta di operare praticamente indisturbata, avvolta da quel alone di mistero che colloca i MöG nel mondo delle leggende, senza il problema di vedersi attribuire tali delitti.

-" Ti vedo pensieroso, cos'è che ti turba? Qualche rimorso forse?! "-, mi chiese con un'espressione divertita, quasi volesse burlarsi di me.

-" No, nessun rimorso. A dire il vero me ne sono venuti molti in questi giorni ma, ogni volta che penso a quello che abbiamo fatto e di conseguenza me ne rattristavo, immediatamente sentivo una forza interiore che mi spingeva a reagire in modo inverso. Mi ritrovavo ad essere felice e contento e la mia visione dei fatti, cambiava in modo radicale "-.

Stablo si mise a ridere ed io lo guardai con imbarazzo.

-" Lo so, è tutto dovuto alla Kõmosç, non serve che tu mi prenda in giro! "-, risposi -" ci sono però alcune cose che vorrei sapere. C'è una cosa in particolare che vorrei chiederti "-.

-" Va bene, sentiamo quali sono i tuoi dubbi e, per quanto mi è possibile, ti darò una risposta "-.

-" Quello che non riesco a capire è come mai, vista la nostra capacità di dominare questo grande forza, ci limitiamo a vivere nascondendoci qui, nel sottosuolo? Non riesco a vederne il motivo.

Sarebbe più logico se questo potenziale venisse usato in un modo più costruttivo: la nostra Casta potrebbe occupare con pochi sforzi i terreni circostanti la DAÇROES, ammettere nella famiglia nuovi adepti e formare così un vero esercito, per conquistare altri territori. Capisci cosa voglio dire? Potremmo diventare una vera potenza! Un impero! Invece mi sembra che tutto questo potenziale sia sprecato inutilmente "-.

-" Ti assicuro che le cose non stanno così, tutt'altro. Il fatto è che tu non hai elementi sufficienti per poter valutare obbiettivamente la situazione "-.

Mentre parlava mi fece segno di seguirlo e attraversata la piazzetta della DAÇROES dove ci trovavamo, salimmo le scale per recarci nella sala delle udienze. Entrati nel salone, ci dirigemmo verso una porta situata dietro il trono di Tølone.

-" Non sei mai entrato in questa stanza, vero? "- disse indicando la porta.

-" No! Mi è stato tassativamente vietato l'accesso "- risposi, mentre Stablo azionava la maniglia aprendo la porta, -" Strano, ero fermamente convinto che fosse chiusa a chiave. Devo ammettere, però, di non aver mai provato ad aprirla "-.

-" Questa porta non è mai chiusa a chiave, ma come hai potuto costatare, ha una difesa naturale, quasi magica, un timore riverenziale che impedisce a chiunque, se non autorizzato, ad entrare "-, rispose sorridendo. Poi continuò -" Quello che ti mostrerò ora, ti chiarirà le idee e ti rivelerà lo scopo dell'esistenza della Caste "-.

Entrammo.

La stanza non era molto grande ed il suo interno si presentava spoglio da mobilio e suppellettili. I muri, di un splendido marmo bianco lucidissimo, erano riccamente decorati da finiture in rilievo e finte colonne in malachite verde. Appesa al centro del soffitto, la grossa lampada ad olio che illuminava la stanza, si trovava proprio sopra uno stupendo leggio in ciliegio intarsiato, sul quale era posto un voluminoso libro. Il tomo era rilegato in una robusta copertina in pelle lavorata, con pietre preziose incastonate e bordature in oro.

-" Ecco, questo è l'AUGOM-SAÐË-MÖG, il libro dei fondatori delle Caste MöG "-, disse indicando il volume, -" È uno dei quattro libri originali, identici tra loro, nei quali sono riportate le leggi ed i principi comuni delle Caste. Cose che tu conosci già, ovviamente "-

-" Ovviamente! "-, risposi quasi di riflesso.

-" Quello che non sai è che in questo libro è riportata una profezia, una visione del futuro delle Caste. L'ultima parte dello scritto preannuncia l'avvento di un popolo eterno"-.

Guardai Stablo con meraviglia e dissi -" Immortalità! È di questo che stai parlando? Vuoi forse dirmi che tutto ciò che noi facciamo è finalizzato a questo, alla ricerca dell'immortalità? "-.

-" Non essere scandalizzato Faßlok, anche se ti può sembrare una cosa assurda, ti assicuro che non lo è affatto: anzi, per correggere la tua affermazione, ti dirò che non siamo alla ricerca dell'immortalità, ma facciamo già parte di un piano per il suo raggiungimento. La Kõmosç ha doti che tu ancora non conosci, ma i maghi fondatori ne conoscevano bene le potenzialità. Sapevano che quest'energia non solo lavorava sul corpo attenuando le sofferenze e la fatica ma, a lungo andare, fortificava l'organismo e ne prolungava la longevità "-.

-" Mi vuoi far credere che anch'io ora vivrò più a lungo? "-.

-" No. Non essere sarcastico, posso capire il tuo scetticismo, ma ti posso assicurare che le cose funzionano proprio così. Certo ai nostri livelli non si possono riscontrare risultati significativi ma, del resto, noi attingiamo l'energia applicando la Kõmosintesi su persone comuni, estranee alla famiglia.

Ti sei mai chiesto cosa significherebbe assumere l'energia da un nostro fratello, da una persona il cui corpo è già impregnato della Kõmosç? "-.

-" A dire il vero, pensavo che il rituale non venisse applicato anche sugli adepti. "-.

-" Perché no? Certo in questo caso, quando uno di noi muore, se ne occupano i Fratelli maggiori: è un loro privilegio, fa tutto parte del piano di evoluzione della Famiglia.

Nessuno conosce gli effetti pratici della Kõmosç assimilata da corpi che, in un certo senso, l'hanno già elaborata, tranne i nostri anziani che ne costudiscono gelosamente il segreto "-.

-" Quindi noi siamo solo al primo stadio della scala evolutiva dei MöG "-, dissi ironicamente, poi aggiunsi accennando ad una risata -" ma quanti anni ha Hartnø? "-.

Stablo smorzò la mia ilarità con una risposta secca -" 130 circa, ma non chiedermi quanti ne abbia Tølone: penso non se lo ricordi nemmeno lui "-.

Dall'espressione del mio amico capii che non stava scherzando e che era fermamente convinto di ciò che diceva, ed io, seppure lentamente, incominciai a convincermi che tutto ciò era plausibile, anche se difficile da credere.

-" D'accordo Stablo, non sono del tutto convinto che le teorie che tu mi hai descritto siano attendibili, comunque sia, per l'attuazione di questo piano evolutivo, per la creazione di questa razza immortale, non credi che manchi qualcosa? Insomma, dubito che riusciremo ad a crescere numericamente solo reclutando nuovi adepti. Capisci cosa intendo dire: le evoluzioni si basano su selezioni naturali, vale a dire morti e.... nascite.

Non mi sembra di aver mai visto una donna nella DAÇROES! "-.

-" Hai perfettamente ragione!

Vedi, noi siamo ancora in una fase di preparazione: stiamo creando una base solida sulla quale crescerà la nuova generazione "-, si avvicinò al grosso libro e lo apri verso le ultime pagine, -" Negli ultimi passi dell'AUGOM-SAÐË-MÖG, e precisamente nella Sura del Jomädh, sono scritti i versetti della Predizione "-.

Con il dito indicò i versi sulla pagina: non erano scritti in lingua MöG corrente, ma con i caratteri antichi usati dai Fondatori delle Caste, che io avevo già visto su altri manufatti.

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Stablo si prodigò a tradurre i tre versi indicati, che dicevano così: - Il primo giorno vennero creati il cielo, la terra, il fuoco e l'acqua. - Nel secondo giorno la terra si unì al cielo ed il fuoco all'acqua. - Giunto il terzo giorno le due energie si congiunsero e nacque la luce eterna -.

-" Questo starebbe a significare che le Caste , quando saranno pronte, si uniranno tra loro! Ma allora, se la nostra Casta è composta solo da maschi, vuol dire che...."-.

-" Che esistono Caste maschili e Caste femminili, due e due, è logico! "-.

Dopo queste ultime indicazioni, la cosa mi apparì ben congegnata, ma, quello che mi lasciava comunque perplesso, era il fine di tutto ciò: ovvero il raggiungimento, per me del tutto utopico, della vita eterna.

-" Dunque voi state sacrificando la vostra vita per la realizzazione di questa profezia! "-.

-" Voi? "-, esclamò subito Stablo evidenziando la mia gaff alla quale cercai di porre subito rimedio.

-" Volevo dire noi. Scusami ma non sono ancora entrato nell'ottica di far parte di questo elaborato piano "-.

-" Tu ci fai parte da quando ai accettato di unirti alla Famiglia "-, ribadì Stablo, -" dovresti sentirti onorato di ciò che stiamo creando.

Ti stavi preoccupando del fatto che noi non ci interessiamo ai possedimenti, a governare territori e stati: viste le cose di cui sei venuto ora a conoscenza, ti renderai conto che i tuoi timori sono superflui. Un domani, quando tutti i regni, i governi e le baronie oggi conosciute non ci saranno più, quando anche le magie degli ultimi stregoni saranno svanite, vi sarà solo una grande popolo dominante, quello dei nostri discendenti. Il Vecchio Continente sarà un unico grande impero che non avrà mai fine: quello dei MöG! "-.

Di fronte ad una affermazione da invasato di questo tipo, non ebbi più il coraggio di pronunciare alcuna parola ed il nostro colloquio terminò praticamente così".


"Per molto tempo cercai di adeguarmi a quello che era ormai il mio compito e provai, insistentemente ad accettare come mio lo scopo di quel esistenza, che in realtà continuava ad apparirmi inutile ed assurda. Non mi interessava affatto di far parte di un piano fantasmagorico per la creazione di una razza immortale: questo mi portava a considerare la mia permanenza in quel posto un inutile perdita di tempo.

Avevo partecipato ad altre scorribande e quindi acquistato nuovo vigore dalla Kõmosç, ma ormai anche tutto questo non mi entusiasmava più e spesso, l'angosci ed i rimorsi delle azioni compiute, avevano il sopravvento sull'energia incorporata.

C'era decisamente qualcosa che non funzionava in me. Forse ero munito di una difesa immunitaria, che non mi permetteva di farmi coinvolgere completamente da quel ambiente e da quella situazione. Giunsi alla conclusione che l'unica soluzione possibile era quella di andarsene via.

La cosa non era così semplice però: non c'era la possibilità di allontanarsi dalla DAÇROES da soli e potersi dileguare nel nulla senza tanti problemi. Dalla tana si usciva sempre in gruppo o perlomeno in coppia. Solo i Fratelli più anziani avevano il permesso di effettuare delle uscite solitarie. Dovevo assolutamente trovare un ottimo piano per andarmene e, soprattutto, per far perdere definitivamente le mie tracce.

Mentre cercavo di escogitare qualcosa di efficace per uscire da quella situazione, incominciai ad indagare, per sapere se era già accaduto che qualche adepto si fosse separato dalla Casta. Logicamente non chiesi informazioni a Stablo: dopo il nostro ultimo colloquio, avevo già dato modo di dubitare della mia fedeltà alla Famiglia, risultava quindi più sicuro evitare di creare nuovi sospetti.

Dalle mie ricerche, risultò che nel corso degli anni, vi erano stati diversi casi di giovani congregati che avevano tentato di abbandonare la Casta, ma tutti, o quasi, erano stati riportati in senno alla Famiglia e rieducati. Non volli sapere cosa si intendesse per rieducazione, ma la cosa non mi diceva nulla di buono: il fatto che quasi tutti erano stati riacciuffati, non significava che qualcuno ce l'avesse fatta a scappare, anzi, da come ne parlavano, tutto faceva pensare al peggio.

La situazione non era una delle più rosee. Il mio allontanamento doveva avvenire in modo tale da non lasciare strascichi, dovevo sparire definitivamente, svanire nel nulla, senza dare motivo a nessuno di venirmi a cercare.

Sono fermamente convinto che le cose nella vita, non accadano mai per caso: ci vengono trasmessi continuamente messaggi che ci indicano il da farsi, sta solo a noi il compito di saperli percepire ed interpretare. In questo caso il messaggio che mi giunse fu chiaro e lampante.

Un giorno, nelle prime ore del pomeriggio, uscii dalla DAÇROES per una commissione, accompagnato da un fratello chiamato Mollook.: questi era un omone più alto e notevolmente più robusto di me nonché, da più tempo membro della Casta. Ci dirigemmo verso un villaggio che si trovava ad alcune ore di cammino dal nostro rifugio. La strada che dovemmo percorrere correva, per la maggior parte del tragitto, in mezzo ai campi e, solo in un breve tratto, attraversava una fitta boscaglia. Proprio in questo tratto, nel mezzo della selva, incrociammo un viandante che, in groppa al suo destriero, procedeva nella direzione opposta. La cosa di per sé era del tutto normale, anche se non erano molti gli incontri con altre persone che si potevano fare in quei luoghi. Il cavaliere non aveva l'aspetto di un nobile o almeno, dalle vesti che indossava, non sembrava tale ma la cosa sorprendente, che lasciò esterrefatti sia me che Mollook, è che quando lo avvicinammo, ci accorgemmo che era identico a me.

Un sosia, con lo stesso viso, la stessa statura e persino i capelli, anche se pettinati in modo diverso, erano della stessa lunghezza e colore.

-" Sorprendente! "-, disse Mollook, continuando a fissarci entrambi in modo alternante, prima uno e dopo l'altro, girando la testa a sinistra ed a destra per guardarci meglio, -" Davvero sorprendente. Se non fossi qui con me Faßlok, potrei giurare che quello sei tu "-.

Anche il mio sosia rimase incantato a guardarmi. Nella mia mente, invece, come un lampo si fece strada una chiara idea: quello era il mio lasciapassare per la libertà.

Penso di aver agito d'istinto, senza pensare minimamente alle conseguenze. D'improvviso balzai sul viandante e lo disarcionai dal destriero e, senza dargli il tempo di reagire, estratta la spada, lo infilzai uccidendolo sul colpo.

-" Ma che diavolo stai combinando Faßlok?! "-, gridò il mio compagno di viaggio.

-" Mi sto guadagnando la libertà! "-, urlai saltandogli addosso con l'arma in pugno.

Vista la stazza di Mollook, la lotta con lui fu lunga ed ardua e solo la forza della disperazione, mi aiutò ad avere la meglio su di lui: ormai non avevo scelta, in ogni caso se avessi perso, o per mano sua o dei MöG, sarei comunque morto. Infine riuscii ad uccidere anche Mollook. La sua fine era inevitabile, non dovevo lasciare alcun testimone e poi, anche questo, faceva parte del mio semplice piano: i MöG avrebbero ritrovato due loro fratelli uccisi in un possibile agguato, teso da qualche balordo, e i due cadaveri dovevano essere identificati come quelli di Mollook e Faßlok. Nel frattempo io, nelle vesti di un viandante, mi sarei già trovato lontano ed al sicuro.

Non mi rimaneva altro da fare che scambiarmi d'abito, con il mio sosia defunto e sostituirmi a lui. Purtroppo lo scontro con il mio accompagnatore mi aveva procurato delle grosse ferite: dovetti ricorrere a tutta la mia energia, la Kõmosç che avevo in corpo, per attuare l'ultima fase del piano senza perdere tempo prezioso. Dopo essermi scambiato d'abito, montai in groppa al cavallo e lo spronai. Tuttora non so cavalcare, ma in quel momento, aggrappato alla sella, riuscii a lanciare l'animale al galoppo lungo il sentiero, senza nemmeno conoscere la meta da raggiungere, ma con l'unico intento di allontanarmi il più possibile e nel tempo minore da quel posto e dalla Casta.

È difficile quantificare il periodo di tempo, durante il quale rimasi avvinghiato al collo di quel cavallo, che continuò a correre fino a quando, esanime, mollai la presa e crollai a terra svenuto.

Penso di non aver sognato nulla, nemmeno la libertà riacquistata.

Quando riaprii gli occhi, ebbi però un sussulto mi trovavo in una grotta e questo mi riportò con la mente alla DAÇROES. Appena riuscii a mettere bene a fuoco le cose, mi tranquillizzai. Non mi trovavo in una vera grotta, ma in una specie di ampia fessura longitudinale nella roccia, alta poco più di due metri: una tettoia naturale sotto la quale ero stato posto al riparo.

Era già calata la notte e fuori era ormai buio. La roccia sopra di me, era illuminata dalle fiamme di un fuoco screpitante, posto alla mia sinistra, che riuscivo a percepire, più che vedere, senza nemmeno girare la testa.

-" Haa, ma allora sei vivo!?! "-. La voce forte e grave risuonò nell'anfratto.

Mi girai e vidi una figura seduta di fronte al fuoco, avvolta in un mantello nero, con il cappuccio che gli ricopriva il capo.

-" Chi sei e dove mi trovo? "-, chiesi con fatica.

-" Le domande le dovrei fare io "-, rispose, -" Quando ti ho trovato eri ridotto proprio male. Sei fortunato che io conosca qualche rudimento di medicina ma, soprattutto, le arti magiche! "-.

Cercai di mettere bene a fuoco il personaggio che mi stava parlando. Chi mai avrebbe potuto vantarsi così pubblicamente di possedere capacità tali? Fui sorpreso quando, vedendolo alzarsi in piedi, dalla sua statura, mi resi conto si trattasse di un nano.

-" Dunque tu saresti un mago?"-, chiesi divertito, cercando di mascherare la mia ilarità, per non mettermi in cattiva luce ai suoi occhi: dopotutto mi aveva salvato la vita.

-" Un mago? Ho, no! Non sono mica uno di quei cialtroni che cercano di incantare la gente con i loro trucchetti da quattro soldi. Io sono un Druido! La mia è magia vera: la magia delle Rune!

Comunque il mio nome è Cromos.

Ti ho trovato lungo la mia strada verso sera ed ho pensato di portarti qui, sotto questo riparo, per curarti"-, il nano fece alcuni passi verso di me, ma non abbastanza da permettermi di vedere il suo viso ancora coperto dal cappuccio, e continuò -" Non pensavo ti riprendessi così presto. Penso che, di questo passo, ti basterà una sola giornata per rimetterti in piedi e continuare il tuo viaggio. A proposito chi sei e che cosa ti è successo? "-.

Aveva perfettamente ragione. Grazie alle cure del nano ed alla Kõmosç ancora presente in me, le ferite si stavano rimarginando velocemente e, nonostante fossi stato ridotto proprio male da Mollook, mi sentivo abbastanza bene e fiducioso anche se molto stanco.

-" Ti devo proprio ringraziare Cromos. Penso di doverti la vita. Il mio nome è.... "-, esitai un attimo: era da tanto tempo che non usavo il mio vero nome.

-" Il mio nome è Elias "-, quel nome risuonò al mio orecchio con una nota di nostalgia, subito sormontata da una sensazione di gioia: non era solo il mio nome ma un grido di libertà. Ce l'avevo fatta! Finalmente ero libero.

-" Sono stato vittima di un imboscata "-, continuai, -" Penso si trattasse di qualche brigante che mi voleva derubare. Sono riuscito a scappare ma me la sono vista proprio brutta "-.

Cromos si rimise a sedere vicino al fuoco, scoprendosi il capo e mostrando il volto segnato da una vistosa cicatrice, poi disse:

-" Non ti preoccupare, qui sarai al sicuro. Io rimarrò qui con te, finche non sarai guarito. Ora, però, riposa "-.

Quella frase mi parve rassicurante tanto che, lasciandomi andare alla stanchezza, chiusi gli occhi e mi addormentai. 'Non ho mai avuto un nano per amico. Questo sarà il primo ': fu il mio ultimo pensiero.

Le previsioni di Cromos furono troppo ottimistiche. Mi ci vollero tre giorni per rimettermi completamente.

Quando fui in grado di camminare, ci dirigemmo ad un villaggio, dove trovammo alloggio in una locanda e lì, la sera, ci sbronzammo allegramente."

" È da allora che hai iniziato a bere? ", chiese Tommaso interrompendo il racconto.

" Rimasi con Cromos per quattro giorni e ci ubriacammo praticamente tutte le sere, poi le nostre strade si divisero.

A ragione, probabilmente ho incominciato proprio allora a bere, a cercare rifugio nell'alcool. Distaccarsi dalla realtà aiuta molto, soprattutto se ci si trova in determinate situazioni. Deve sapere che per lungo tempo ho dovuto combattere contro le angosce ed i rimorsi di ciò che avevo fatto, delle morti che ho causato per la mia stupidità. Non solo, ma tuttora, a due anni da quella mia fuga, vivo con il terrore che i MöG abbiano scoperto il mio inganno e ci sia già qualcuno di loro sulle mie tracce. Per questo non mi posso fidare di nessuno.

Vivere con la morte nel cuore e con degli assassini alle spalle, porterebbe chiunque alla pazzia. È meglio il vino o la birra, almeno il giorno dopo ti ritrovi con un po' di mal di testa o di stomaco, ma ancora in grado di ragionare."


I due erano seduti, uno di fronte all'altro, e si fissavano in silenzio. Elias aveva terminato il suo racconto, mentre Tommaso, lo aveva ascoltato con interesse e sembrava essere stato colpito. Era difficile credere a tutto ciò che il giovane aveva detto, ma Tommaso riusciva a capire che era sincero e non abbastanza ubriaco da inventarsi un racconto simile. E poi perché non credere ai MöG, infondo vi erano cose ben più incredibili nel Vecchio Continente, che presentavano un pericolo maggiore e di certo più attuale di loro.

Il problema di Tommaso era in ogni caso Elias: doveva riuscire a convincerlo a seguirlo, ma la cosa non si presentava semplice anzi, a confronto, riuscire a farlo riammettere all'accademia, ora gli sembrava la cosa più facile da farsi, nonostante le sicure opposizioni che avrebbe dovuto affrontare.

Dopo un lungo momento di esitazione il mago decise di rompere quel silenzio imbarazzante.

"Elias, posso capire che tutto quello che ai provato in questi anni ti abbia fatto soffrire, ma io sono qui per aiutarti".

"Aiutarmi?!", lo interruppe il giovane con poco garbo, "Perché mi dovrebbe aiutare, chi glie lo ha chiesto, e poi, come intende fare? Mi vuole trascinare a Torre Incantata? È convinto che quello sia il luogo giusto dove dimenticare tutto il mio passato, o forse ritiene sia il più sicuro dove nascondermi?

Io non ne sono per nulla convinto!

Forse è meglio se lasciamo stare.

Lei si è sbagliato, non sono io la persona che sta cercando".

"Certo che sei tu quello che cerco, e lo sai benissimo. Devi solo fare lo sforzo di guardare dentro di te, ti accorgerai che ti puoi fidare di me e che quello che ti propongo è la soluzione giusta, per uscire da questo baratro nel quale stai precipitando", disse il maestro con voce calma, "Ti devi solo fidare".

"Fidarmi! Mi sono fidato anche troppo e di troppe persone", rispose Elias alzandosi in piedi, "Lasciate perdere, Tommaso!".

"Elias", chiamò Tommaso vedendo il giovane allontanarsi. Ma Elias continuò a camminare in direzione dell'oste, che era fermo davanti alla porta della cucina, dal quale si fece dare una bottiglia di vino e quindi sparì su per le scale che portavano alle stanze da letto.

Tommaso non fece nulla per fermarlo. Avrebbe solo peggiorato la situazione tentando di persuaderlo a cambiare idea. Non era il momento giusto, ci sarebbe stata sicuramente un occasione migliore.

Il giorno seguente, nella tarda mattinata, Elias fece la sua apparizione nella sala da pranzo della locanda. Era sceso dalle scale con l'aria sconvolta e stralunata di chi aveva dormito poco, si era diretto ad un tavolo al centro della sala quando, girando il capo a destra, aveva visto Tommaso. L'uomo era seduto nel medesimo modo e nello stesso posto della sera prima.

"Non vorrà farmi credere di essere rimasto seduto qui tutta la notte?", esordì Elias con ironia.

"No, sono arrivato da poco e mi sono seduto qui, ad aspettarti. Immaginavo che ti saresti alzato tardi oggi", rispose Tommaso con tono sarcastico.

Il giovane si mise a sedere di fronte al mago, ritrovandosi così nella stessa situazione della sera precedente.

"Allora siete veramente convinto di poter fare qualcosa per me", disse il ragazzo portando il discorso su toni più seri.

"Certo Elias, ne sono pienamente convinto.

Tu hai grandi potenzialità e sarebbe veramente un peccato che queste andassero sprecate inutilmente. Anche Don ne era convinto, ricordi?", Elias annui e Tommaso prosegui, "Devi riuscire a liberarti dalle ombre del passato, altrimenti la tua vita si limiterà ad essere un'interminabile sofferenza, per te e per chi ti sta' vicino. L'occasione che ti offro è quella di ritornare a studiare, di riprendere da dove avevi interrotto. Infondo in accademia ti trovavi bene, oppure è anche quello un mondo che odi?".

"Io non odio l'accademia né il resto del mondo, anche se non mi ha riservato nulla di buono. In ogni modo sono pronto a rimettermi in gioco e, per dimostrarglielo, sono pronto a seguirla ad Eliendall, anche se ho qualche timore che Stablo o, se preferisce Malakìa, possa tornare a cercarmi in quella sede".

"Sono felice della tua decisione", disse il mago con soddisfazione, "Vedo che la notte ti ha portato consiglio. Comunque, non ti devi preoccupare che il tuo ex amico venga ha cercarti a Torre Incantata. Se aveva dei dubbi sicuramente avrà già effettuato delle ricerche, in caso contrario, qualora decidesse di rifarsi vivo, mi preoccuperò io di farlo allontanare dalla nostra scuola.

L'importante è che tu sia convito di potercela fare.

Il resto si aggiusterà da solo".


Grazie all'influenza di Tommaso, ed alla sua vecchia amicizia con il Gran Maestro Ekelmaist, il rettore dell'accademia, Elias fu riammesso agli studi a Torre Incantata. Ci vollero ben sette anni, oltre a quelli già fatti, perché il ragazzo portasse a termine gli impegni di studio. Elias, nonostante le varie interruzioni, per causa di quello che ormai era divenuto un vizio, ovvero il bere, aveva superato con merito i due corsi quinquennali, Inferiore e Superiore, dell'accademia. Gli era stata prospettata l'opportunità di poter lavorare all'interno della Gilda di Torre d'Avorio, ma aveva rifiutato l'incarico.

Elias era ormai giunto alla decisione di lasciare Eliendall: quella città ormai gli andava stretta, si sentiva soffocare ed in lui cresceva sempre più l'esigenza di andarsene, di vedere posti nuovi, di fuggire. L'ansia che era in lui era generata dalle sue vecchie paure, il terrore che prima o poi qualcuno gli sbucasse innanzi dicendogli -" Bene Faßlok, finalmente ti ho trovato!"-. Non era solo paura, ma una vera fobia, che lo aveva spinto ad uno stato di paranoia tale, da renderlo diffidente nei confronti di chiunque.

Dopo aver lasciato Eliendall, Elias si dirige verso nord-est, in direzione della città libera di Ermerill, ma non la raggiunge. Si ferma, infatti, nei dintorni di un piccolo villaggio, presso una fattoria di proprietà di una donna di nome Helena. Vedova, giovane e di bel aspetto, Helena vive da sola nella piccola tenuta, aiutata nei lavori dei campi da alcuni vicini. L'arrivo di Elias, all'inizio, significa il sopraggiungere di un valido aiuto per sbrigare gran parte dei lavori quotidiani, ma in seguito, tra i due nasce una tenera amicizia. Il mago, nelle vesti di contadino, trascorre un piacevole periodo in quel luogo fino a quando, un tragico giorno, il destino si accanisce ancora contro di lui. Delle persone, probabilmente dei ladri, irrompono nell'abitazione mettendola a soqquadro ed uccidendo Helena. Elias, impegnato nel lavoro dei campi, scopre il dramma solo al suo rientro e su di lui ritornano le ombre del passato: il suo stato di paranoia lo spinge a vedere in tutto ciò la mano vendicativa dei MöG. Con il terrore di essere tallonato dai seguaci della Casta, fugge da quel posto e raggiunge Ermerill, dove, non sentendosi ancora al sicuro, decide di imbarcarsi su di una nave diretta a Eikendall.

Dall'isola della città Eikendall, ad Ahrumal, per poi ritornare sul continente a Lockiendill, il vagabondaggio di Elias per le città libere, durò quasi un anno poi, rassegnato al suo destino, decise di ritornare ad Eliendall. Ormai stanco di scappare e di doversi nascondere da un nemico pressoché invisibile, si rese conto che non c'era un posto sicuro dove nascondersi e, quindi, tanto valeva ritornare in quella che ormai considerava la sua città.

Durante il viaggio di ritorno, ebbe però la sfortuna di imbattersi in un losco individuo che lo assalì ferendolo in modo molto serio, abbandonandolo poi al suo destino.

Mentre si trovava riverso al suolo, cercando di riacquistare un po' d'energia per riuscire a rialzarsi, sentì una voce che gli sembrava famigliare: "Ehi amico, cosa ti è successo?".

Elias, con grande sforzo, si girò per vedere la persona che gli parlava e, quando vi riuscì, riconobbe il nano che gli stava di fronte: "Cromos!", disse con quel poco di fiato che si ritrovava.

Il prete runico osservò più attentamente il ragazzo cercando di riconoscerlo ed in fine esclamò: "Elias?!?".

Il giovane era cambiato molto: la barba che ricopriva il volto magro ed i capelli lunghi lo rendevano diverso da quello che era il giorno che si erano conosciuti, ma era comunque lui.

"Ma, possibile che io ti devo trovare sempre in queste condizioni?", disse Cromos.

"Sono stato aggredito all'improvviso e non ho avuto nemmeno il tempo di potermi difendere. Sono fortunato ad essere ancora vivo", rispose Elias.

"Lo puoi dire forte", disse il nano esaminando le ferite dell'amico, "Sei ridotto proprio male. Però, ora ci sono qui io a darti una mano, non ti preoccupare".

Il nano si prodigò per medicare Elias, tanto da dargli modo di rimettersi in piedi.

"Ecco! Ci vorranno dei giorni prima che tu riesca a rimetterti completamente, ma almeno ora sei in grado di camminare. So che c'è una locanda poco distante da qui, se te la senti, penso che quello sarà il posto ideale dove soggiornare fino alla tua completa guarigione".

Elias annuì e quindi s'incamminò nella direzione indicata da Cromos, che lo accompagnò aiutandolo a sorreggersi.

Presso la locanda indicata dal nano, trascorsero assieme quasi un intera settimana, senza che accadesse nulla di rilevante. La sera del loro ultimo giorno di soggiorno, Elias ebbe una gradita sorpresa. Ormai ristabilito completamente, stava trascorrendo le ultime ore della giornata seduto, assieme all'amico Cromos, ad un tavolo della locanda bevendo allegramente boccali di birra, quando gli si avvicinarono tre persone. I tre individui erano appena entrati nel locale e, cosa strana, si erano diretti quasi subito al tavolo del mago e del nano.

"Ma, io ti conosco", esordì uno dei tre rivolgendosi ad Elias, che lo squadrò da capo a piedi, riconoscendo in lui un suo compagno di studi di Torre Incantata, uno dei pochi amici.

"Certo che ci conosciamo, tu sei Pierre Seoman! È da quando hai abbandonato l'accademia che non ci vediamo! Cosa ci fai da queste parti?"

"Elias, vedo che non hai ancora perso il vizio", disse Seoman indicando le birre sul tavolo, "È passato veramente tanto tempo, a momenti non ti riconoscevo nemmeno. Sai, sono solo di passaggio da questo posto, con i miei amici Dervin e Adamo, mi sto dirigendo ad Eliendall"

"Bene, anch'io e Cromos andiamo ad Eliendall", rispose Elias indicando il nano che fece un segno di saluto, "Se rimanete qui questa notte, domani potremo fare il resto della strada assieme"

"Perché no?!", disse Seoman accomodandosi al tavolo di Elias e facendo segno agli altri di fare altrettanto, "Ho giusto un po' d'appetito e, dopo aver mangiato, anche un bel riposo prima di proseguire il viaggio ci sta bene. A proposito di cibo, il profumo che si sente qui è proprio invitante, vero?!".

"Io non avrò perso il vizio, ma nemmeno tu a quanto pare", esclamò Elias e, rivolgendosi a Cromos, continuò parlando del compagno di studi "Se te lo vuoi fare amico devi solo offrirgli da mangiare, ha ha ha...".

La serata continuò così, con tono scherzoso, finché ormai stanchi, non si ritirarono tutti per dormire. L'indomani il gruppetto s'incamminò alla volta di Eliendall, dove il futuro gli riservava nuove sorprese.

Ma questa è un'altra storia....


17 anni dopo...


Nulla è più pericoloso di un infido essere che si cela sotto le sembianze di un animale per commettere crimini tali che nessuna bestia farebbe mai!

Prof. Elias Welfer O'kobor

Dopo la battaglia conclusasi nella piana di Torre Rossa, il Professar Elias decise di abbandonare gli amici e le persone che fino ad allora aveva seguito. Turmentato da conflitti interiori e da atroci dubbi, si prefisse tre obiettivi che divennero i l suo unico scopo di vita.

Il primo obiettivo di Elias fu di raggiungere i Monti delle Stelle per essere ammesso al cospetto del Sommo Veggente. Da molto tempo i[ Professore seguiva la via della Stelle dettata dal Dio Shergal, il Signore dei Misteri, e quest'obiettivo gli apparve, allora piu che mai, di vi tale importanza.

Il secondo e i l terzo obbiettivo furono determinati da quanto awenne nella battaglia di Tone Rossa. L'apparizione tra le schiere del nemico di un vecchio amico, Pier Seoman, lo aveva turbato molto, soprattutto per il fatto di non essere stato in gado di potergli parlare nel corso della battaglia. ELias era quindi deciso a rintracciare l'amico e, forse spinto da compassione, determinato a salvarlo da quella che considerava una schiavitii a servizio del male [anche se in quel momento era per lui difficile stabilire ciò che fosse realmente il makl. Fatto ancora piu sconvolgente era stato l'intervento nel combattimento dei famigerati Mög. Quest'evento aveva risvegliato in Lui tutte le fobie paranoiche che da tempo cercava di controllare. Era ora di reagire! Un antico detto di Eliendall dice: "La migliore difesa è L'attacco". ELias, da quel momento decise che era troppo tempo che fuggiva, ed era giunto il momento di prendere in mano la situazione. La paura che da sempre lo perseguitava, si trasformò in un odio folfe contro i Predoni suoi nemici: "L'unico Mög che voglio vedere e un Mög morto!".

La prima cosa che il Professor Elias fece, fu di cercare di imbarcarsi ai piu presto su una nave diretd a Rumel Tor. Per fare ciò intraprese il viaggio verso sud, poiché sia ['Lmpmo del Dragone che i l Regno del Leone, per ovi motivi, avevano interrotto ogni comunicazione navale col il Regno della Chimera. Era dunque necessario raggiungere le Baronie Settentrionali dove 'sembrava esserci ancora qualche vascello che si dirigesse verso Le isole. M a il viaggio verso La città di Cerestian ebbe breve durata: infatti, una visione, lo convinse che non era ancora tempo, di recarsi ad incontrare i l Veggente delle Stelle. Decise quindi d'avere pazienza e, pur considerando sempre questa missione come la principale, fece marcia indietro, puntando a nord, con lo scopo di realizzare il suo secondo obiettivo. Pier Seoman era stato sicuramente attratto dalla forza delle Arti Oscure e della Magia Arcana, quale posto poteva essere migliore se non L'Accademia di Torre Nera? Muoversi all'intemo dell'lmpero del Dragone confinante con l'lmpero della Luna d'oriente, con le ostilità tra i due paesi ancora del tutto aperte, risultò più arduo del previsto t$ raggiungere i monti Tonanti divenne praticamente impossibile. LI cammino del nostro Mago si intequppe ai margini meridionali della foresta di Shall Mid. In quel posto accadde un imprevisto: l'incontro inaspettato con dei Mög.

L'odio che da tempo Elias covava in seno a quel punto fuoriuscì con tutta sua rabbia e, da quel giorno, non ebbe più tregua. Accantonato anche il suo secondo obieptip, riproponendosi di assolverlo quando i tempi fossero stati più propizi, Elias si dedicò, anima e corpo, a realizzare quella che considerava ormai urla missione umanitaria: Liberare il mondo dalia presenza degli spregevoli Mög. Con molta astuzia, sfruttando la sua intelligenza e le sue arti magiche, riuscì a convincere varie persone a seguirlo nella sua campagna, contro quelli che Lui riusciva a far apparire come il VERO NEMICO. Si trattava di alcuni abitanti dei villaggi siti nella zona, per lo più contadini eccezion fatta per qualche reduce delle recenti guerre e alcuni mercenari. Elias si rese subito conto che, i Mög che si trovò a fronteggiare in quella zona, non avevano nulla a che fare con quelli che aveva frequeritato a sud del continente, ne tanto meno con Le donne che vivevano sulle sponde del Lago Interno. Si trattava di appartenenti ad una nuova Casta a Lui ancora sconosciuta. la presenza di vulcani sui monti Tonanti, fece subito pensare al Professore, che quella Casta doveva essere legata all'elemento FLIOCO; ma, al di là di questa inutile intuizione, restava il fatto che questi predorii erano tipici personaggi nordici, di costituzione robusta, alti e muscolosi. Anche questi usavano travestirsi da belve feroci per attaccare le loro predema, vista la Loro mole, noli si coprivaiio con pelli di lupo, cosa già conosciuta da Elias, ma preferivano le più abbondanti pellicce d'orso. Nonostante tutto, il drappello comandato da Elias, fece numerose vittime tra i Predoni Lungo tutto i l perimetro della foresta di Shall Mid, dal confine con I'Lmpero della Luna d'Oriente fino ai piedi dei monti Tonanti in direzione della costa orientale. Quella che inseguito Elias definì come LA GRANDE CACCIA, era incominciata!

Per quaiito grossi e forzuti potessero essere i Mög sterminati da Elias e dai Suoi, non erano altro che semplici accoliti o, al massimo, qualche maestro. Quando gli Alti Mög decisero di uscire allo scoperto, Elias si trovò davanti ad una forza superiore a quanw potesse immaginare, e h piccola compagnia fu annientata senza grande sforzo. Pochi furono i soprawissuti che si dik.guarono come topi in fuga. Elias ferito più nell'onore che nel corpo, decise di abbandonare quei luoghi per Lui ormai poco sicuri, dirigendosi prima nella città di Mitra Ashin e di seguito rifugiandosi a Torre Rossa.

Trascorse più di un anno prima che il Profrsor Elias decidffise di lasciare Torre Rossa. Durante i l suo soggiorno, la tanto attesa chiamata a cospetto del Vegsente delle Stelle non era ancora giunta, ma nel frattempo l'odio per i Mög era cresciuto, tanto da spingerlo ad affrontare una nuova campagna contro di loro. La Sua meta non furoiio i monti Tonanti e la foresta di Shall Mid, ma bensì la foresta Eridoines, deciso a dichiarare guerra alle Mög che effettuavano le loro scorrerie s u i moriti Thorf Endar. Ciuiito alla foresta Erdoines, awalendosi della sua qualifica, il Professor Elias chiese ospitalità presso l'accademia di Torre Verde. Elias non voleva commettere l'errore che gli era costato la sconfitta con i Prdoni del riord. Decise quindi di raggruppare un numero superiore di volontari, adeguatamente armati e ben addestrati. Elias dedicò quasi quattro anni a questa sua secoiida campagna di sterminio. Nell'arco di questo tempo riuscì a mettere insieme un piccolo esercito, owero due compagnie di pazzi sfegatati disposti a seguire i l loro Fuhrer ovunque li avesse condotti. ln quel periodo, alla testa dei Suoi seguaci, Elias riuscì a decima~e il suo nemico con azioni sempre più mirate e ben realizzate, tanto da riuscire a contrastaTe in più occasioiii anche l'attacco di alcuni Alti Mög. Quando le cose sembravano volgere almeglio ed Elias credette di essere sul punto di poter attaccare il cuore di quella Casta, vi fu una drammatica svolta degli awenimenti. Nel sentirsi in pericolo, il Reggente di quella Casta Mög decise di venire allo scoperto e di attaccare in forza, prendendo così alia sprowista Elias e i Suoi. In un saiiguinoso combattimento, awenuto sulle sponde settentrionali del lago lnterno, i Mög ebbero la meglio s u i seguaci di Elias e, dalle schiere nemiche, apparvero pure due sinistri figuri alti e ~obustir icoperti di pelli d'orso che, ben presto, si rivelarono come dei sicarigiunti per eliminare il Professore. Fortunatamente la devozione dei Sui uomini ed il loro sacrificio diedero modo ad Elias di salvarsi. Grazie all'aiuto di due dei Suoi più fedeli guerrieri, Elias ferito gravemente ina ancora vivo, venne alloiitanato da quel massacro, curato alla meglio e portato al sicuro, con una rocambolesca fuga, il più lontano possibile, attraverso il Regno del Petaso, fino alle Baronie delllEst. Giunti in quelle terre i due seguaci di Elias chiesero asilo presso l'Accademia di Torre Bianca, we non venne certo rifiutato l'aiuto ad un esime Professore, soprattutto viste le pessime condizioni fisiche in cui si trovava. A Torre Bianca Elias venne curato e dopo essersi rimesso in forma, continuò la sua permanenza in quel luogo per circa sei anni, con un identità falsa, nascondendosi dai vari sicari Mög a caccia della sua testa. Allo scadere del sesto anno di pennanenza a Torre Bianca, i due fedelissimi seguaci che lo avevano salvato, diedero una lieta notizia ad Elias: tutti i sicari inviati dai Mög per ucciderlo, dai primi due visti nelllultimo combattimento agli alti cinque venuti in seguito, erano stati eliminati. Era ormai un anno che nessuno dava la caccia ad Elias che, finalmente poteva tornare allo scoperto. Da quel momento, tutti gli sforzi di Elias furono concentrati nel tentativo di ritomare alla foresta Eridoines, per riprendere a combattere i[ nemico Mög. Elias, dalle informazioni ricevute, sapeva di poter ancora contare sulllaiuto di varie persone disposte a seguirlo, ma da Tone Verde ricevette i l divieto di mettwe piede nel lmo temtmio, se fosse stato ancma intenzionato a perseguire i propri intenti bellicosi. Torre Verde riconosceva ad Elias il merito di aver in parte risolto il problema dei Predoni ma, vista la loro scarsa attività negli ultimi anni, non riteneva necessario ulteriori atti di repressione nei loro confronti, in quanto non costituivano più un grande pericolo. Elias, da parte sua, ribadiva quanto fosse importante annientare radicalmente quegli rsseri, sostenendo che l'eliminazione di uno degli anelli di quella catena avrebbe sicuramente reso inefficaci anche gli altri. Le trattative tra Elias e Torre Verde proseguirono per circa due anni, a termine dei quali giunsero ad un accordo; Elias avrebbe avuto libero accesso nei territori della foresta Eridoines e dei monti Thorf Endar e sarebbe stato sempre gradito ospite di Torre Verde. Gli venne comunque negata la possibilità di organizzare ed intraprendere azioni di guerriglia nei confronti dei Predoni della zona. Questa presa di posizione di Tone Verde non era certo a difesa dei Mög, che venivano comunque combattuti e trattati per i malviventi quali essi erano, ma solo una misura precauzionale nei confronti di Elias ritenuto un personaggio scomodo nelle vesti di giustiziere.

A questo pulito per Elias ritonure a Torre Verde era del tutto inutile, decise quindi di trascorrere un po' di tempo a studiare una nuova strategia d'attacco. Dall'analisi degli elementi a sua disposizione giunse a nuove considerazioni in merito all'ubicazione delle Caste Mög: le Caste, come Egli ben sapeva, erano legate ai quattro Elementi, quindi: se presso i vulcani dei monti Tonanti si trovava la Casta legata al fuoco, sul lago liiterno clera quella legata all'acqua e a sud la Casta legata alla terra [cosa che aveva constatato di persona), rimaneva sconosciuto solo i l luogo ove operava la Casta legata all1aria. Elias non aveva mai sentito parlare di una regione particolarmente battuta dal vento o con correnti d'aria tali da caratterizzarne il luogo, in tutto il Vecchio Continente. La Casta legata all'aria doveva trovarsi quindi in un posto collocato molto in alto, a contatto con il cielo, owero su qualche altura. Sui monti Tonanti vi era già La Casta del "fuoco", mentre sia i monti del Sogno che i moiiti Vooren segnavano i confini della Casta della "terra'' e i monti Thorf Oldein erano troppo vicini alla foresta Eridoines ed ai monti Thorf Endar sul lago lntemo. Rimanevano solo i monti Shea ed i monti Rocca di Pietra e fu là che Elias si diresse alla ricerca della quarta Casta. Da I<raven Rock a Ur, persino alllintemo della foresta Mishin, Elias girò in lungo ed in largo tutta quella regione per un anno intero ma, nel Protettorato Millivan, non vi era traccia alcuiia dei famiserati predoiii. I l Professore dovette arrendersi alllevidenza dei fatti, ed ammettere di essersi sbagliato. Ma le sue teorie forse non
erano del tutto errate: aveva considerato soltanto la possibilità che i Mög si trwassero esclusivamente nel Contiiiente, ma vi erano catene montuose anche sulle isole!

Scartata immediatamente, per wi motivi sentimentali-religiosi l'idea che la quarta Casta si potesse trware sui monti delle Stelle, nel Regno delLa Chimera, Elias puntò subito La sua attenzione al Regno del Conio. I monti Thorf lshen erano il posto ideale per la setta e si
trwavatio proprio sull'isola maggiore del Regno del Conio. Ritornato nelle Baronie delllEst si diresse al porto di Alkanter, intenzionato a raggiungere Feylan ma, prima di riuscire ad imbarcarsi, il suo entusiasmo andò rapidamente a svanire. Era riuscito a trovare un posto, una locanda vicino al porto, we quasi tutti i viaggiatori provenienti dal Regno del Conio facevano tappa. Li Elias aveva raccolto un yan numero di informazioni sul Regno, ma nessuno aveva mai nominato ne sentito parlare dei Mög o dei Predoni. Era impossibile che quei assassini potessero agire così astutamente da non attirare sospetti ne lasciare segno delle loro azioni. Anche questa non era la pista giusta da seguire!

Elias si imbarcò lo srerso ad Alkanter, ma non si diresse a FeyLan ma a Tuim. Giunto nelle Baronie Meridionali, si diresse a nord-est, a Horvien e di lì a Torre Arcana ove chiese ospitalità. Era cambiato i l posto, l'accademia che lo ospitava, ma non l'obiettivo ed il modo per raggiungere i l suo scopo finale. La GRANDE CACCIA doveva continuare!

dal libro "Storia, Leggenda e Follia del grande Mago Elias" [autore ANONIMO]


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Ariel

Apprendista del mago Zenone.

Ariel, una giovane dalla carnagione olivastra e dai lunghi capelli neri, figlia illegittima della Concubina Imperiale dell'Impero della Luna d'Oriente e di un valoroso guerriero, che dalle terre libere del Sud si era spinto 23 anni prima fino agli imperi del Nord, in cerca di ventura. Per sottrarre la figlia alle ire del potente Ka, la madre Isabel la affida ancora in fasce ad un servitore, con il compito di condurla dal padre. Isabel consegna all'uomo una lettera, indirizzata all'amante, sulla quale compaiono nome ed indirizzo, un sacchetto di monete d'oro per affrontare le spese di viaggio, e una minima dote per la piccola. Arrivato nei pressi di Eliendall, pero', il servo decide di mettere in atto il suo losco piano, per trarre vantaggio da questa triste vicenda e saziare la propria avidita'. Si appropria cosi' del denaro e di tutto cio' che reputa di valore, spoglia la piccola di cio' che la pu ricondurre al suo passato e la abbandona in un vicolo della citta'. Il caso vuole che le grida della bambina attirino l'attenzione di Zenone, un mago ritiratosi dall'insegnamento accademico per potersi dedicare alle proprie ricerche di potenziamento delle magie della mente e di decodifica di antichi scritti magici. Zenone dapprima vuole liberarsi della piccola, ma poi qualcosa gli fa cambiare idea: sente che la piccola possiede gia' un piccolo dono di magia. Decide quindi di tenerla presso di se' e, nonostante il fatto che ella sia una donna, la cresce come sua assistente, mettendola a parte di tutto il suo sapere. Ariel cresce curiosa ed attenta, anche se un po' indisciplinata, e al compimento del suo ventesimo anno riceve dal suo padrino Zenone un dono inaspettato: un piccolo pezzo di pergamena con un simbolo sconosciuto e un ideogramma. Zenone le rivela di aver trovato quella pergamena tra le fasce che la avvolgevano bambina, quando la raccolse. Probabilmente quello era un indizio sulla nascita di Ariel, sulle sue origini, ma, si scusa il vecchio, in tutti quegli anni lui da solo non riuscito a decifrarne il significato. Da allora la giovane, riconoscente al vecchio Zenone per i suoi insegnamenti, decide di dedicarsi con maggior rigore alla magia e allo studio della scrittura e della decodifica dei testi per riuscire a far luce sul suo passato. Sa anche, pero', che la via dell'Accademia e' ostica per una donna, e che non riuscira' a trovare nulla se rimane protetta, ma isolata, nello studio del suo protettore. Con la benedizione di Zenone, dunque, chiede a Maestro Mikon, amico del mago suo padrino, di aiutarla a trovare dei fidati compagni di viaggio, verso una meta che non sa nemmeno lei quale sia, ma che spera la condurra' al punto di partenza.


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Anvayr

Misterioso viaggiatore del Nord.

Nasce nel pieno dell'inverno, ai piedi dei monti tonanti, e lì vive per i primi anni insieme con un vecchio cacciatore, Cratus. Sono tempi solitari, a contatto con una natura selvaggia, pericolosa fin quasi ad apparire crudele. Cratus è di scarse parole, talvolta passano giorni prima che rompa il silenzio, così il bambino cresce celando in sè le proprie domande. Poi nel pieno del quinto inverno, nel mezzo d'una bufera di neve, un cavaliere solitario giunge da sud e senza alcuna spiegazione strappa il giovane dalla sua esistenza solitaria. Il vecchio, quasi rivolto a se stesso, mormora: "Ora il tuo luogo non è questo, sangue del fulmine". Mentre con lo sconosciuto cavalca verso sud, con la tempesta che pare seguirli per un tempo interminabile, il bimbo pensa al commiato dell'anziano cacciatore e alla cicatrice che segna il suo braccio destro: un fulmine che si divide in due dopo aver colpito la punta di una spada. Cosa può significare? Ben presto la stanchezza ha il sopravvento sui dubbi, e la lunga cavalcata si confonde col sogno. Quando si risveglia il panorama è notevolmente cambiato: si trova in un villaggio, nel nord dell'impero del dragone. Anche se lo ignora quella sarà la sua dimora per i successivi quattro anni, nel corso dei quali la disciplina e l'arte della spada saranno incisi a fuoco sulle sue carni. Raetius, il suo istruttore, dona anche al ragazzino la consapevolezza d'essere aarelita, membro di un popolo fiero e potente; gli dà anche un nome, Anvayr. La vita nel villaggio scorre senza impedimenti finché vi transita un distaccamento di soldati diretto alla frontiera. Con loro viaggia anche Tulan, uno studioso di Torre Rossa, che percepisce le potenzialità del giovane e invia un rapporto perché sia reclutato. Così, senza una parola di spiegazione, Anvayr si trova catapultato nel mondo alieno di una torre di magia, nel decimo anno di vita. L'esistenza del giovane, lungi dal rammollirsi, diviene se possibile ancora più impegnativa: più insegnanti impartiscono lezioni in materie profane e mistiche, portando spesso al limite le capacità e la volontà dell'allievo. Non sorprendentemente sono le lunghe ore d'addestramento marziale che permettono all'apprendista di reggere il ritmo: nella danza della spada, che continua a praticare, tempra la propria determinazione a non cedere. Passano così undici lunghi anni. Anvayr, con la mente dischiusa dai nuovi insegnamenti, inizia in questo periodo a porsi delle domande: chi paga il suo mantenimento? E a quale scopo? Perché è stato portato a sud? Chi era il cavaliere? E Tulan, è un caso che passasse da quel villaggio e lo notasse? Ma, soprattutto, che significato ha la cicatrice sul suo braccio destro? Gradatamente, grazie alla vasta biblioteca di Torre Rossa, le risposte iniziano a delinearsi. Probabilmente il suo mecenate è un parente, forse un nobile, in ogni caso una persona di un certo censo ed importanza: il fatto che non lo riconosca forse è legato alle origini di qualcuno dei genitori. Il simbolo tatuato a fuoco ricorda le tribù dei Monti Tonanti, quindi è possibile che suo padre o sua madre sia un barbaro. Nel giorno del suo ventesimo compleanno (altra stranezza: in che modo i suoi tutori sono stati in grado di conoscerne la data esatta?) Anvayr ultima l'ennesimo ciclo di studi all'accademia e decide di cercare la sapienza in altri luoghi: vi sono altre accademie e molte altre fonti di sapere.


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Ostagh

Duro e vecchio mercenario dell'Est.


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Ulno Pop 'Zapp'

Abbandonato in fasce alle porte di Joudesse, cittadina costiera a poche lega da Millivan, viene svezzato da un mercante stanziale goblin, Ofugo Erum. Passano quasi dieci anni e Lufodo scopre di essere diverso dagli altri ragazzini, oltre alla statura ridotta si accorge di avere poteri inconsueti, gli viene dato il soprannome di Zapp per la particolare abilità nello sparire dalle situazioni più "incriminanti". In alcune occasioni riesce ad imporre la propria volontà, oltre che sui ragazzini, sugli adulti e questa inizia a spaventare tutti. Arrivano i suoi undici anni e l'ormai vecchio Ofugo è costretto a portare al sicuro Lufodo dalla paura che ormai suscita nella gente. Vanno a Millivan, Ofugo parlando alla gilda dei mercanti viene consigliato di portare Lufodo all'Accademia del Mistico per sincerarsi sugli strani poteri che diventano giorno dopo giorno più tangibili. All'Accademia convincono il povero Ofugo a lasciare li il bambino per il bene di tutti, li potranno istruirlo su come usare i poteri e su come difendersi dalle persone più superstiziose. Costretto da quella che sembra un'evidenza troppo grande per le proprie vecchie spalle, il povero Ofugo lascia Lufodo all' Accademia.

Passano gli anni e Yugo, così viene soprannominato Lufodo all'Accademia termine che si riferisce alle piccole serpi della sabbia, acquista maggior prestigio all'interno della Prestigiosa, la sua intelligenza oltre alle spiccate attitudini fanno di lui un valido strumento per il futuro. Questo gli porta le invidie dei colleghi di studio che iniziano a prenderlo di mira per ripicche e gelosie, la sua deformita poi fa il resto. Messo al bando e alla berlina da molti colleghi Yugo cova sempre più rancore fino a che uno studente viene trovato morto suicida. Alla Prestigiosa riescono a capire dopo interrogatori e sondaggi che Yugo in uno scatto d'ira a obbligato un suo collega a compiere l'insano gesto.

Per tutti viene espulso dall' accademia, vista la sua inaffidabilità alla rieducazione a cui offre una particolare resistenza. In realtà gli alti vertici della Prestigiosa Accademia, lo mandano a finire gli studi da un maestro istruttore esterno all'Accademia. Qui finisce il suo addestramento all'età di ventisette anni. Ormai formato professionalmente gli viene affidato il compito di assumere l'identità di Iofo Rines linguista e scriba supportato dalle migliori referenze della "Gilda degli Scribacchini" nelle Baronie dell'Est, per così poter andare al servizio di nobili, religiosi e maghi cercando col tempo di carpirne i segreti e i pensieri più reconditi.

Il lavoro che in segreto svolge per l'Accademia del Mistico è enorme. Le informazioni che raccoglie sono molto importanti e danno vita da parte degli agenti del mistico a ricatti e mosse preventive per adempiere a commissioni di fazioni politiche o solo per accrescere il potere della Scuola.

Passano così altri otto anni, il suo lavoro diventa molto rischioso, perché spesso la gente si ricorda di lui anche se preventivamente manipolata. Un sicario viene mandato a ucciderlo, solo la fortuna fa si che Zapp si salva. Addormentato l'assassino gli fa credere di essere riuscito nella missione, scopre anche risalendo e sondando altre due persone che proprio quelli dell'Accademia lo volevano morto.

Va allora dal maestro che sa amico per chiedere aiuto, lui copre una sua fuga e gli fornisce alcuni contatti che l'avrebbero condotto lontano. Scappa allora cambiando il nome in Ulno Pop, trasferitosi a nord rispetto alle baronie inizia a riprendere l'attività di linguista sperando in un colpo di fortuna per iniziare la scalata alla realizzazione di un suo vecchio sogno, prendere il posto di Sir Eishutt Millivan.

Passano altri tre anni e Zapp, si fa chiamare ancora così per ricordo di quando era felice da bambino, non naviga in buone acque. Costretto a fare da scriba a nobili zoticoni del Regno dell'Unicorno, vive derubando con trucchi mentali gli ignari cittadini. Un giorno un messaggio del suo maestro lo mette sulle tracce di un prezioso artefatto, la Mano di Shergall. Il piano del maestro è di consegnarla ai kadeiti, ma non sempre le cose vanno come ci si aspetta.

Zapp, ancora troppo ignaro su come il mondo e manovrato da pochissimi Grandi tentera di assecondare la vita nell'inseguimento del suo sogno, quasi sicuramente irraggiungibile dettato solo da esperinze giovanili negative. L'unico essere a cui è veramente affezionato e` Bag, suo fedele familio. Quindi senza legami fissi, ormai anche il suo maestro e troppo lontano affettivamente, cercare di vivere e convivere col mondo che lo circonda. Forse col tempo acquisterà saggezza capendo come va veramente la vita.

Ha probabilmente l'animo del piccolo truffatore sviluppato negli anni per sopravvivere, non a eccessiva sfiducia negli altri perché e conscio, forse più speranzoso, del fatto che la sua magia può aggiustare, cambiando i ricordi, le situazioni difficili. L'innato apprezzamento e simpatia che suscitano gli esseri differenti per razza da lui, probabilmente considera gli stessi goblin una razza diversa dalla sua, e forse una giustificazione all'essere stato così diverso dagli atri per tutta una vita. Affezionarsi a qualcuno per lui non significa amicizia fraterna ma solo un pretesto per non essere solo, aiuterà queste persone solo per un pericolo o una difficoltà immediati dove l'istinto prende il sopravvento sul freddo calcolo.


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Cereo

Sommo Prete Runico alla fine della carriera.


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Brittelm de Gart

Integerrimo cavaliere di Talantir.

È un giovane nobile della zona meridionale del Regno del Leone che ha perso a 10 anni entrambi i genitori in un incendio ordito probabilmente dallo zio che in seguito gli ha fatto da tutore e lo ha avviato all'Ordine di Talantir. Lo zio muore molti anni piu' tardi a seguito di una caduta da cavallo e Brittelm si dedica a difendere le persone indifese, ha portare ordine e pace contro le persone oscure e malvage.


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Eric Barbabianca

Nano albino delle forze speciali.

Ultimo di 12 figli, Eric vide morire suo padre per mano di un gruppo di fuorilegge che razziarono il suo villaggio. Suo padre era un semplice fabbro e sua madre una contadina la quale lavorava nella tenuta del capo clan. La morte di suo padre lo colpi profondamente e lì giurò di addestrarsi a diventare un possente guerriero per vendicare la morte del padre e difendere i deboli. All'età di 17 anni venne notato da una guardia del corpo del suo signore mentre si allenava con l'ascia e da lì intrapese la sua carriera militare. Ora è un valente soldato dedito a Thornerim e ai suoi superiori. Il grado di Sergente Scelto lo ha ottenuto per meriti sul campo come le sue numerosi cicatrici. È considerato da tutti i suoi camerati una carogna perché troppo rigido sull'ordine, sulla divisa, sugli armamenti. Punisce ogni errore con la violenza fisica. Obbliga la sua squadra a allenamenti pesantissimi che naturalmente guida personalmente. Non permette nessun atto di insubordinazione. Tutto ciò fa della sua squadra una arma terribile.

Saluto verso i Druidi: deporre l'ascia a due mani, tagliarsi la mano sinistra e far sgocciolare il sangue su di essa prestando giuramento.

Addestramento mattutino: sveglia all'alba, 20 minuti di preghiera a Thornerim 30 di corsa, 30 di addestramento judo o coltello, 10 di lancia, 10 di ascia a due mani, 20 di tomahawk, 200 addominali, 200 flessioni.


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Marzius Aldebaran

Stravangante mercante del Sud.

Non è di nobili origini ma è riuscito a fare carriera nell'ambito militare (da giovane) e poi come avventuriero in cerca di tesori, e visto i soldi che ha qualcuno lo ha pure trovato :) Con il passare degli anni si è "ritirato" a vita agiata e si è dedicato al commercio. Poi ha deciso di rompere con la monotonia e riprendere il suo vecchio sogno: quello di diventare una leggenda nel Vecchio Continente. Attualmente, grazie ai suoi contatti, a sentito parlare di questo Heam e forse può rappresentare l'imbocco per una fulgida carriera da eroe ammazza-mostri. Commercia di tutto un po' ma principalmente è dedito alla compra/vendita di oggetti magici e antichi (nella speranza di trovarne qualcuno utile ai suoi scopi) e alla gestione dei servizi che maghi e chierici possono offrire (Vuoi costruire una fortezza su quel picco innevato? Conosco giusto un gruppo di nani maghi della pietra che potrebbero fare al caso tuo, ne possiamo parlare...).


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Guardia di Giustizia Venlen

Guardia di giustizia di Costantius, noto per l'onestà e la durezza d'orecchi.


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Scaurus

GIovanissimo falconiere con poteri e problemi particolari.


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Artiglio Bianco

Avvelenato da fanciullo e salvato da un amico del padre, Mastro Mikon, che poi l'ha voluto come apprendista. Sposato con un figlio di 8 anni. Maestro Mikon era contrario al matrimonio, una famiglia avrebbe interferito con gli impegni per la gilda. Purtroppo pochi giorni dopo il parto lei e' morta. Preso dalla disperazione ha affidato il figlio alla famiglia del fratello, e dopo un anno in cui si è lasciato andare al dolore (vagabondaggi alcolismo uso di sostanze varie) si è lentamente ripigliato ed ha ripreso il suo lavoro per la gilda. Non sentendosi in grado di accudire ad un bambino, l'ha lasciato alla famiglia di suo fratello che ormai lo considera come suo. Si occupa di lui di nascosto ogni volta che posso. In ricordo di Giulia ha fatto voto di non uccidere mai una donna.

Ha cominciato a seguire la parte commerciale degli affari di famiglia. Ha viaggiato per il mondo seguendo alcune facciende delle sedi sparse in altre citta. Ogni tanto gli è capitato di approfittare degli affari commerciali con spezie e pietre preziose per sistemare definitivamente qualche nemico di famiglia o di Mastro Mikon o per raccogliere informazioni.


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Leopoldo Cesare Cornelio di Guttaperca

Figlio di Guastaldo e Floriana, concepito durante il possesso della succube.


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Stephanie da Lloidevall

Sorella di Slash, maga imperiale, moglie di Elias, uccisa da Elias.


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Demius del Grifone

Giovane nobile del Grifone

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Heam del Frassino

Inquisitore dell'ordine del Frassino

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Alarr del Nord e Jacqline

La ragazza Jacquline faceva la saltimbanco per un gruppo che girava per l'Impero della Luna e per il Regno dell'Unicorno.
Era molto bella e molto brava. Un bel giorno, si trova di fronte ad un uomo grande e grosso, e durante lo spettacolo si copre il volto con il cappuccio ad imitare il dio Bel/Ogimir: l'omone si alza indignato e corre via, mandando i propri scagnozzi a picchiare Jacquline. Jacquline scappa e da quel giorno la sua vita è una continua fuga: travestita da ragazzo, passa il confine dell'Impero del Dragone e finisce nelle mani di una pattuglia di soldati imperiali che la portano a Mitra Ashin assieme ai prigionieri della Luna. Durante il viaggio conosce il sergente Alarr, che appena scopre che non è un maschio inizia una corte serrata. Viene portata al mercato degli schiavi, e, quando sta per essere venduta a Lord Haken Voornal della Casata Reale del Pegaso, un nobile grasso e ricco e in odore di perversione, Alarr la libera e inizia una fuga con lei, inseguiti dalle guardie del Pegaso che fortunatamente non hanno gran potere nell'Impero.
Il vecchio capitano di Alarr prende i ragazzi sotto la sua ala protettiva, e li incarica di recarsi al Sud a cercare quello che in gioventù era un suo idolo: l'Inquisitore Heam del Frassino, che si dice abbia combattuto addirittura fianco a fianco con l'Imperatore Lord Alkanterr Dagdamer. Ricevono un simbolo imperiale da dare a Heam (un dito indice in argento).
La loro fuga li porta al Sud, con Alarr che non demorde nel mostrare la sua passione per Jacquline, la quale continua a viaggiare travestita da ragazzo aiutante del guerriero. Arrivano a Eliendall e là vengono indirizzati a Tulm dove trovano l'inquisitore prigioniero di due fratelli bale, 2 orchi e 3 guardie.

Simmon il mago

Piccolo e magro mago di Talantir.

Nato 25 anni fa come secondogenito di una piccola famiglia di commercianti di Talantir (status 1). Da bambino viene notato per la sua attitudine a prevedere i pericoli e avviato pertanto alla Scuola di magia di Talantir. A 14 anni viene chiamato all'Accademia Imperiale di Torre Rossa per essere addestrato quale mago da battaglia per l'esercito imperiale. Impara la chimica, l'alchimia, molti incantesimi della scuola della Protezione ma non mostra talento per altre scuole. Partecipa spesso a esercitazioni militari e anche ad alcune piccole battaglie, ma ogni tanto palesa la sua codardia che va tenuta a bada con mezzi magici e la sua scarsissima prestanza fisica rende il combattimento fisico pericoloso per lui. Tuttavia le sue conoscenze magiche sono utili per proteggere arcieri, artiglieri, altri maghi e generali.

A 22 anni torna a Talantir dove intraprende l'attività di piccola magia, specializzato nella protezione di botteghe artigiane, piccoli convogli mercantili e militari, affari riservati e, nelle giornate di scarso lavoro, ombrelli magici e protezioni solari ai ricchi costretti a restare all'aperto! Per le sue attività si è guadagnato un certo rispetto e stima dei suoi committenti, prevalentemente la classe medio-alta (status 2-4) di Talantir. Per il suo lavoro dispone di una piccola bottega con l'apprendista dodicenne Titus nel quartiere mercantile ed ha contatti con l'ordeliano Baracus, piccolo esponente della mafia locale, e con il kaideita Belek (vero nome Beleg Khal), vecchio mago fuoriuscito da Torre Azzurra.

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